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Il drammatico naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, in cui morirono 366 persone, ha segnato un momento importante nella politica dell’immigrazione. L’Ue ha ridefinito la propria politica migratoria, istituendo un gruppo di lavoro denominato Task Force Mediterranean.

Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che si è spesso interrogato sul destino degli immigrati, ha ricordato quel tragico evento: “La portata inedita, e per certi aspetti epocale, delle migrazioni nel Mediterraneo non può certo essere trattata con cecità dalle classi dirigenti e con indifferenza dalle opinioni pubbliche”. Il Capo dello Stato ha chiesto alla società civile e al Governo di “mettere in campo tutta l’intelligenza, l’umanità, la capacità organizzativa e di coordinare gli sforzi in ambito europeo”.

Tuttavia, nella gestione dei flussi migratori il Governo italiano è lasciato solo. Negli ultimi tre anni si è assistito a un tirarsi indietro di molti Stati membri, nonostante il 24 ottobre e il 20 novembre 2013 la Commissione europea abbia chiesto loro di creare una sinergia per affrontare “tutti insieme” la gestione dei flussi migratori.
La proposta italiana di rafforzare il programma di controllo e di interventi ai confini esterni dell’Unione denominato Frontex non è però stata appoggiata politicamente. Di fronte all’incremento degli sbarchi e dei soccorsi ai barconi in difficoltà, il Governo italiano è intervenuto con l’operazione Mare nostrum. L’intervento ha salvato 110.000 persone, ma è durato solo un anno a causa degli ostacoli posti dai Paesi europei, che l’hanno considerata “un’azione di attrazione” dell’immigrazione.

Durante la presidenza europea dell’Italia, iniziata il 1° giugno 2014, l’obiettivo è stato quello di regolamentare i flussi all’interno dell’Unione, con il motto «il Mediterraneo confine d’Europa – Lampedusa confine europeo». Davanti a questo tentativo di accelerazione è arrivata la brusca frenata dell’Europa: l’Italia è stata rimproverata da Paesi come la Germania, la Svezia, la Danimarca e l’Olanda, e da altri Paesi del Nord Europa, per aver favorito l’immigrazione clandestina e per aver violato il regolamento di Dublino, che prevede di prendere le impronte digitali e di fotografare ogni persona arrivata. Le Forze dell’ordine infatti sono tenute a rispettare chi si rifiuta, perché i centri di accoglienza non sono detentivi. La maggior parte dei migranti cerca di fuggire da questi centri, che per legge sono aperti.

Tuttavia il problema politico rimane: il Consiglio Europeo dei Ministri per gli Affari Interni dell’8 luglio 2014 ha ribadito la responsabilità del Paese “di primo ingresso”, che deve gestire in proprio l’accoglienza. Oltre che nella gestione dei flussi, le Forze dell’ordine oggi sono impegnate nel contrastare la criminalità organizzata — che investe nella tratta e nel traffico degli esseri umani — e il terrorismo internazionale.

In questo scenario di tensione politica, il 19 aprile 2015 la coscienza europea è stata scossa da un nuovo naufragio, in cui sono morte 750 persone, inclusi 50 bambini stipati nella stiva. La Commissione europea ha adottato l’Agenda europea sulle migrazioni il 13 maggio 2015 (20.000 relocations); il 27 maggio ha approvato il 1° Implementation Package dell’Agenda con 40.000 relocations da Italia e Grecia e un Resettlement Scheme per 20.000 persone da fuori Ue. Nel frattempo però, durante l’estate del 2015, “esplode” la rotta balcanica: i flussi si spostano dalle acque del mare alla terraferma.

Gli Stati membri ridiscutono e inaspriscono così la libertà di circolazione degli accordi di Schengen. In Svizzera, il 9 febbraio 2014, viene approvato un referendum che limita l’immigrazione; anche la Francia nel frattempo limita gli ingressi dopo gli attentati a Parigi e a Nizza; l’uscita dell’Inghilterra dall’Ue, con il referendum sulla Brexit, è determinata dalla paura dell’immigrazione; il referendum dell’Ungheria, voluto per chiudere le frontiere agli immigrati, non raggiunge per poco il quorum.

Fallisce anche il programma di ridistribuzione. Il 22 settembre 2015 il presidente Junker decide di ripartire altri 120.000 migranti, ma, nonostante le buone intenzioni, il 10 agosto 2016 soltanto 952 richiedenti asilo sono effettivamente distribuiti negli Stati membri.

Per gestire i flussi, l’Italia riorganizza il proprio sistema di accoglienza e crea gli hotspot, in cui vengono identificati coloro che arrivano a Lampedusa (500 posti) e a Trapani Milo (400 posti), che si affiancano a quelli di Pozzallo-Ragusa (300 posti) e Taranto (400 posti). In questi ultimi mesi le Forze dell’ordine italiane sono state affiancate dagli esperti inviati dagli altri Stati membri che, oltre ad aiutare, si sono resi conto della difficoltà di gestire i salvataggi, di fornire le prime cure mediche, di dissetare le persone che arrivano disidratate e spesso ustionate dal sole. La collaborazione permette ai rappresentanti degli altri Stati europei di comprendere l’impossibilità di censire le persone immigrate, nel caso di un loro rifiuto.

Il 2 marzo 2016 i Governi italiano e tedesco hanno chiesto all’Ue di superare il concetto di “Paese di primo ingresso”, previsto dal regolamento di Dublino. Il documento Save Schengen / Beyond Dublin, del 4 marzo, intendeva ritornare agli accordi di Schengen, per ripristinare la libera circolazione ed eliminare i controlli alle frontiere entro la fine del 2016.

Il 18 marzo 2016 la Ue ha stipulato un accordo con la Turchia per contenere i transiti via terra verso la rotta balcanica. L’accordo prevede che vengano erogati 3 miliardi e 600 milioni di euro per allestire i campi profughi. Si tratta di una scelta-tampone a livello politico, che si aggiunge alla mancanza di un piano europeo di rimpatrio da finanziare con fondi europei.

Ci si chiede: può essere questa l’unica via politica? Secondo l’analista Marta Foresti, ci sono altre soluzioni possibili. Innanzitutto occorre “aumentare le vie d’accesso legali in Europa. Fermare i migranti è semplicemente impossibile. Serve poi maggiore attenzione nel condividere i dati, nello stringere alleanze tra Paesi di continenti diversi e aumentare la trasparenza. Ma, dopo l’esito del vertice di Bratislava, sembra che anche all’interno dell’Unione prevalgano ancora le divisioni”.
Davanti a queste tensioni riecheggiano gli interrogativi posti da papa Francesco nell’intervento che fece il 6 maggio 2016, dopo aver ritirato il Premio internazionale Carlo Magno: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poe­ti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

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