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Forse non è andata proprio come Tom Barrack, il capo del comitato inaugurale di Donald Trump, aveva annunciato: la cerimonia con cui il vincitore repubblicano delle elezioni si è insediato come 45esimo presidente degli Stati Uniti non ha marcato effettivamente il passaggio tra “candidato e presidente”. Se si lascia indietro lo scenario, la Bestia (la limo super-blindata), la Casa Bianca, e tutta Capitol Hill sullo sfondo, nel discorso inaugurale – il cuore d’interessi della cerimonia – è sembrato di rivedere il Trump della campagna elettorale, sostengono molti commentatori (però, dice Derek Thompson sull’Atlantic, occhio, che il populismo dell’inaugural address, e pure quello da voti in campagna, sono “una fiction”). È sembrato più come un funerale che come un’inaugurazione dicono al Washington Post (e il pensiero va a chi usciva di scena).

CENTO MILIONI RACCOLTI

Raccogliere fondi per il presidente una volta eletto è stato più semplice”, ha detto a US Today Barrack (pronunciato BEAR-ick), finanziatore di Trump già durante la campagna e trumpista della prim’ora, “perché tutti vogliono saltare a bordo”; un “low-hanging fruit” l’ha definito usando il termine con cui gli imprenditori indicano un obiettivo facile. Cento milioni di dollari è la cifra dichiarata, ma il Time stima che la cerimonia ne è costata almeno 200 (la CBS ha scorporato i costi): più di quelli, record, di Barack Obama, 170. Otto anni fa furono 53 i milioni raccolti da Obama per la sua prima inaugurazione, e sebbene le immagini che mettono a confronto la gente assiepata lungo il National Mall nel 2009, contro gli spazi vuoti di venerdì, siano diventate un argomento politico (al centro della prima conferenza stampa del nuovo portavoce della Casa Bianca Sean Spicer e snodo dell’intervento del presidente davanti agli agenti riuniti nelle hall della Cia), Trump ha attirato meno gente all’Inauguration ma ha mosso a sé più finanziatori.

I VIP CONTRO

Ma nonostante le disponibilità raccolte, in grado di pagare lauti cachet, venerdì non c’erano i Diana Ross, Bob Dylan, Michael Jackson, e Aretha Franklin visti sullo stesso palco l’ultima volta. Questione su cui il presidente ha giocato politicamente: non ci sono per me le cosiddette “A-List celebrities”, le celebrità di punta, “ma guardate cosa hanno fatto per Hillary (sostenuta apertamente da molti Vip in campagna elettorale, ndr): niente! Io voglio la gente!” ha scritto su Twitter (ma di gente non ce n’era tanta, comunque). Folclore: tra gli assenti di lusso c’era Kanye West, rapper tra i più vocali sostenitori di Trump. Barrack ha spiegato alla CNN che, nonostante Trump e West siano ottimi amici, la star dell’hip hop per il concerto inaugurale non era “adatto”, visto che la cerimonia era improntata su un genere di intrattenimento “tipicamente e tradizionalmente americano” – s’è aperto il dibattito, ovviamente, non è vero che la bellezza delle tradizioni americane è l’eterogeneità del mix di genti da cui provengono (Laura Bradley su Vanity Fair)?

BARRACK, IL FINANZIERE…

Uno degli episodi per cui il mondo conosce Barrack è il salvataggio economico di Michael Jackson (23,5 milioni di dollari investiti per riprendere Neverland, piena di debiti mentre il cantante rischiava di finire in bancarotta). In Italia è conosciuto perché la sua compagnia ha gestito le quote di maggioranza di Costa Smeralda Holding, poi venduta da Barrack al fondo Qatar Holding, e per il coinvolgimento in alcune vicende giudiziarie. L’uomo che ha guidato i preparativi dell’Inauguration Day è un famoso finanziere libano-americano, Ceo di Colony Capital, società di investimento immobiliare con uffici in 14 paesi del mondo (dopo Blackstone Group e Morgan Stanley Real Estate è la terza più grande private equity del settore). Un gigante da 60 miliardi di dollari di beni gestiti. È stato il più grosso fundraiser (ossia, finanziatore) della campagna di Trump, soldi raccolti non senza fatica (causa opposizione del partito) attraverso Rebuilding America Now, Super Pac da una trentina di milioni di dollari che evoca nel nome lo slogan principe del magnate/presidente: Make America Great Again, in declinazione real estate (“ricostruire”). Una settimana dopo il voto, furono due fonti vicine a Barrack a rivelare per prime alla Nbc News che sarebbe stato lui a dirigere i lavori all’Inagural Comitee, il comitato inaugurale che ha accompagnato la nomina effettiva di Trump il 20 gennaio del 2017. Barrack ha avuto il ruolo di gran ciambellano di corte, ha coordinato i preparativi e raccolto fondi per la cerimonia inaugurale, ma per lungo tempo è stato considerato una possibile scelta da inserire nell’Amministrazione: motivo, il suo rapporto super-confidenziale con Trump. Su questo giorni fa ha risposto alle critiche di chi sostiene che il team di governo fosse composto solo da ricchi amici del magnate/presidente: “Dovrebbe aver scelto persone di scarso successo?”. Barrack è il tessuto connettivo tra l’establishment scelto da Trump per il governo – al di là di urla e proclama – e gli insulti beceri di Breitbart (il sito prototrumpista populista, razzista, cospirazionista e mostruosamente fazioso).

… E IL DIPLOMATICO

Il californiano più vicino a Trump (sono amici dal 1980, dai tempi dell’affare del Plaza di Manhattan), secondo un’intervista/analisi del Los Angeles Times, potrebbe giocare un ruolo importante nell’influenzare le politiche mediorientali della Casa Bianca: “La sua profonda conoscenza della politica e delle culture [mediorientali] fa di lui un giocatore importante nel plasmare il pensiero di Trump sulla regione” (per esempio, negli anni Settanta ha lavorato come consulente economico della famiglia reale saudita: ore e ore di conversazioni tra la gente nei Majlis, ha raccontato). È stato Barrack a chiedere al presidente di smussare le politiche aggressive contro i musulmani per recuperare l’appoggio del Golfo. Barbara Res, un tempo a capo del nutrito team che si occupa del settore edilizio degli investimenti di Trump, ha ricordato che Barrack è uno dei pochi “amici veri” del presidente: “Per lui è molto difficile avere un amico, perché ognuno di coloro che lo circonda vuole un pezzo da lui”, ha detto Barrack. Forse Trump apprezza dell’amico che si è creato da solo, figlio di due immigrati libanesi proprietari di un alimentari a Culver City. Il finanziere è stato l’ultimo a parlare la sera che Trump ha ricevuto l’incoronazione ufficiale a candidato durante la convention repubblicana: dopo di lui la figlia predilette Ivanka, e poi The Donald (da ora il Prez); per capire il ruolo di Barrack, durante il suo discorso a Cleveland disse di non aver nulla da dire contro Hillary Clinton, quando tutti gli altri che lo avevano preceduto cavalcavano l’onda dell’arresto della democratica, evocato proprio in quella settimana dallo stesso Trump per la storia dell’emailgate. Lo scorso anno Barrack ha visitato (insieme a uno dei suoi ex soci nella Miramax, l’attore Rob Lowe) tre campi profughi in Libano: sono quelli che accolgano le migliaia di persone in fuga dal conflitto siriano. Sono diventati una sofferenza enorme per Beirut, gli ospiti hanno abbondantemente superato il milione, su una popolazione complessiva che scavallo di poco i quattro: “È stato straziante” ha detto Barrack al rientro da un villaggio, Zahle, da cui viene suo padre. Trump vorrebbe che i paesi mediorientali bloccassero i profughi a casa loro – è una delle policy dure in materia di immigrazione –, Barrack al LAT ha ricordato quanto è complicato convincere qualcuno che vive delle condizioni di sofferenza che si sta meglio là (in un campo profughi) che in America.

Tom Barrack, come si muove l'amico di Trump che ha diretto l'Inauguration Day

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