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Caro direttore,

alla fine è arrivato. Il momento più temuto dai tifosi romanisti – o, almeno, dalla stragrande maggioranza di loro, di cui faccio parte – è arrivato. Oggi Francesco Totti disputa la sua ultima gara in giallorosso. Si chiude un’epoca, cala il sipario. Lacrime. Applausi. Quelli commossi di uno stadio Olimpico – il suo stadio Olimpico – che in questi 24 anni lo ha amato e applaudito. Quello di tutto il mondo calcistico non solo italiano che in queste ore e in questi giorni e in queste settimane ne sta celebrando e ricordando le gesta. Le magie. I record. Il capitano della Roma ne ha infranti a decine in questo quarto di secolo nel quale è stato protagonista sul rettangolo verde. Intere generazioni sono cresciute con lui, in migliaia non sanno neppure cosa sia il calcio senza Francesco Totti. E lo stesso vale per centinaia di giocatori che hanno iniziato e terminato la loro carriera mentre il numero 10 continuava a solcare i campi: i compagni che hanno avuto il privilegio di giocare al suo fianco e gli avversari che hanno avuto invece la sventura, ma anche l’orgoglio, di trovarselo di fronte.

Quando esordì in Coppa Italia nel 1993 – ma in campionato aveva già fatto il suo debutto ufficiale l’anno prima, a poco più di 16 anni con Vujadin Boskov in panchina – a marcarlo c’era Pietro Vierchowod, eroe del secondo scudetto della Roma e dell’Italia campione del mondo in Spagna: un classe 1959, un uomo che oggi viaggia verso i 60 anni. La scorsa settimana, invece, a Verona contro il Chievo si è trovato di fronte un ragazzo del 2000, uno che quando Totti faceva il celebre cucchiaio a Van Der Sar nella semifinale degli Europei di Olanda e Belgio, non era neppure ancora nato.

La longevità, la classe sopraffina, la simpatia. E i limiti dell’uomo che hanno contribuito a renderlo più umano e, alla fine, se possibile, ancor più leggendario. Tutti noi che amiamo il calcio e la Roma siamo, in un certo senso, un po’ Totti. “Ovunque vado sembra come se mi conoscano da anni, come se vivessi in casa loro“, ha confidato il capitano giallorosso. Ed effettivamente è così. Totti è il vicino di casa, l’amico, la persona di quartiere che, nonostante tutto il successo, è rimasto in fondo fedele e uguale a se stesso. Con la famiglia e gli amici di una vita sempre al suo fianco. Con la sua spontaneità. La sua semplicità. Nella sua città – Roma – che lo ha amato come non era mai accaduto con nessun altro. Dalla quale non se ne è mai voluto andare, neppure quando i club più blasonati e titolati al mondo gli avrebbero steso tappeti rossi pur di averlo con loro.

E’ il miglior giocatore che abbia visto in vita mia“, ha scritto qualche giorno fa un certo Diego Armando Maradona. Complicato dire se sia vero, ma certo elencare tutto ciò di cui Totti è stato capace in carriera è difficile. Anzi, impossibile. Le giocate, gli assist, i gol si perdono negli anni, addirittura nei decenni. Si confondono. Troppi e diluiti in un periodo di tempo così lungo che è difficile ricordarli tutti. Non c’è video – e in questi giorni ne circolano parecchi – nei quali non ci si accorga di qualche tacco o di qualche passaggio filtrante apparentemente dimenticato. Che si tratti di una doppietta al Bari nel 1997/98 o di un slalom tra gli avversari, come nel derby del 2001/2002 in occasione del secondo dei quattro gol messi a segno dal suo vecchio amico Vincenzo Montella.

O, ancora, i tanti compagni di squadra esaltati dal suo genio calcistico: onesti giocatori – in alcuni casi anche molto forti – che il talento di Totti ha però saputo valorizzare in modo straordinario. Ne sanno qualcosa Marco Del Vecchio, Simone Perrotta, Amantino Mancini, Gervinho e tutti gli altri che hanno giocato al suo fianco. D’altronde, bastava andare nello spazio e gettarsi oltre la difesa avversaria: Totti il pallone lo avrebbe consegnato sui piedi, al millimetro, come anche in questa sua ultima stagione, seppure sporadicamente, è riuscito a fare. E lo stesso vale per gli allenatori. “Totti ne ha costruiti tanti in questi anni: non sono stati i tecnici a costruire lui“, ha commentato uno che lo conosce bene, il boemo, Zdenek Zeman. Discorso cui non sfugge neppure Luciano Spalletti che, al di là dello scudetto vinto in Russia, il meglio della sua carriera lo ha ottenuto grazie a Totti nel corso della sua prima esperienza alla Roma. Ma si sa, la riconoscenza e il rispetto della storia non sono qualità così diffuse, neppure in un mondo che dovrebbe fondarsi sulla passione e sui sentimenti come quello del calcio.

I successi di squadra – è vero – non sono stati poi molti: due coppe Italia, due supercoppe italiane, uno scudetto e un Mondiale con la Nazionale. Ma, in fondo, Totti può sempre rivendicare di aver messo il suo timbro su due eventi storici per il mondo del calcio: il primo posto in Serie A nel 2000/2001 – un’eccezione per la Roma, considerato che è accaduto solo altre due volte – e la vittoria di Berlino nel 2006, una delle quattro in cui l’Italia sia riuscita a ergersi sul tetto del mondo. Di record individuali, invece, Totti ne ha collezionati a bizzeffe: giocatore con più presenze nella storia della Roma – e terzo nel campionato italiano alle spalle di due mostri sacri come Paolo Maldini e Javier Zanetti – recordman di gol in maglia giallorossa e secondo in tutta la Seria A con 250 reti (prima di lui solo Silvio Piola, figlio però di un calcio completamente diverso, quello a cavallo tra l’inizio e la fine della seconda guerra mondiale). Oltre alla scarpa d’oro conquistata nel 2007 (c’era proprio Spaletti in panchina). Oltre alle decine di premi. Ai riconoscimenti più o meno ufficiali. Agli attestati di stima. E all’amore di una intera città, la sua, e di un popolo – quello degli appassionati di calcio – che in tutta Italia e in tutto il mondo gli sta facendo sentire il suo calore.

In tutti questi anni le sue giocate ci hanno accompagnato e hanno scandito le fasi belle e brutte della vita di molti di noi. O, almeno, della mia. Personalmente – in quasi 25 anni di presenza fissa allo stadio Olimpico – non riesco a ricordare tutte le volte in cui mi sia alzato in piedi e mi sia spellato le mani per applaudirlo. Per acclamarlo, tra incredulità e meraviglia.

Per tutto questo, grazie Francesco. Grazie Capitano. Grazie di esserci stato. Senza di te non sarebbe stata la stessa cosa. E, certamente, da stasera in poi niente sarà più come prima.

P.S. E grazie di cuore al direttore di Formiche.net Michele Arnese, per avermi concesso questa malinconica, ma orgogliosa, divagazione. Io c’ero. Un giorno spero di poterlo raccontare ai nipotini.

P.P.S. Sempre forza Roma

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