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La verità è che si dovrebbe organizzare uno sciopero contro la Festa della Donna. Dubito servirà a cambiare qualcosa, ma almeno finalmente si chiamerebbe con il suo nome quella che ci spacciano come una “festa”, ossia “la giornata della frustrazione”, quelle 24 ore dove fra dati sulla violenza domestica, mancanza di pari opportunità, divisione delle donne stesse, ci si rende conto di come la soluzione sia ancora lontana e forse esista solo in un mondo ideale. E non solo per colpa degli uomini.

Quest’anno, ad allietare una quotidianità fatta già di salti mortali, è arrivato anche lo sciopero generale. Evidentemente i sindacati non hanno pensato che per protestare contro la violenza di genere hanno reso la vita ancora più difficile a milioni di madri, mogli, professioniste, single più o meno precarie, anziane e studentesse. Si tratta di un’immagine paradossale, ma che disegna un ritratto perfetto della questione femminile oggi.

Di certo, c’è solo che le donne, chi più chi meno, non sono contente della situazione attuale. In mezzo, però, c’è un Paese, l’Italia, fatto di divisioni generazionali e ideologiche, differenze lavorative e di condizione sociale e personale, che portano inevitabilmente a una ridefinizione delle priorità e dove la panacea di tutti i mali per alcune è l’introduzione delle quote rosa. Con tutto il rispetto per chi porta avanti questa battaglia, anche perché altrimenti da alcune si rischia di essere sbranate, sarebbe come nascondere la polvere sotto il tappeto.

In Italia c’è un evidente problema di meritocrazia e selezione. Allargare la possibilità di ingresso di donne in posizioni di dirigenza rischia di portare a vedere persone sbagliate nel posto sbagliato. Se le conclusioni sono queste, preferisco vederci un uomo, grazie. Lo facevano in un partito di inizio seconda repubblica, dove la quota rosa era simpaticamente definita “quota panda”. Ora, li ringrazio per non averci imposto, almeno dal punto di vista simbolico, modelli estetici inarrivabili come quelli che ci ritroviamo tutti i santi giorni sui cartelloni pubblicitari o davanti ai quali si gira la gran parte dei maschi di questa terra, però l’espressione “quota panda” mi ha sempre dato l’impressione dell’animale da tutelare più che dell’elemento da valorizzare.

Non saranno stati eleganti, ma almeno sono stati onesti. Il succo della questione è che ogni persona avrebbe il diritto di essere valutata per quello che è, non per il fatto che sia uomo o donna. Ammetterlo non fa comodo al genere maschile, che rischierebbe di essere bollato come misogino e maschilista per una volta che invece dice una cosa condivisibile (ma che dovrebbe anche trovare il modo di applicare nella vita di tutti i giorni, se non è di troppo disturbo). Per le donne, ci vorrebbe forse troppo coraggio ad ammettere che alcune di noi che si nascondono dietro il motivo di genere non sono proprio modelli da seguire né nella vita professionale e nemmeno sotto il profilo umano e che, se possono mettere i bastoni fra le ruote a un uomo piuttosto che a una donna, scelgono molto volentieri la seconda.

E quindi si va avanti così, fra frustrazioni professionali, economiche e in qualche caso anche affettive, e divisioni interne, aspettando l’otto marzo alcune per ‘festeggiare’, ossia scendere in piazza con i soliti slogan contro i soliti problemi irrisolti, altre per dire alle prime che tanto ‘festeggiare’ non serve a niente. Per tutto il resto dell’anno, il solito tran tran, a fare le madri, le mogli, le professioniste, le amiche, le amanti. Tutto insieme e tutto bene.

Chi ci guadagna in tutto questo? Quegli uomini, perché ci sono, che una donna come capo non la vorrebbero mai e che magari oggi compreranno pure la mimosa. E quando vedono due donne che si scannano fra di loro stappano uno champagne millesimato.

Io non voglio né la mimosa né le quote rosa. Mi accontenterei di servizi che funzionino e di un Paese con una mentalità diversa. Oggi, in compenso, mentre mi ricopriranno ipocritamente di auguri o quelle in buona fede mi inviteranno a lottare in cose a cui non credo, dovrò contare fino a 10 per non tirare improperi contro chi ha organizzato lo sciopero generale.

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