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La proiezione globale dell’attuale pontificato è ormai acclarata. Il Papa riceve in Vaticano i leader mondiali, offre (se richiesta) la sua mediazione per risolvere le controversie che sulla carta si presentano più complesse e irte d’ostacoli, guarda alle nuove frontiere della Chiesa cercando (con attenzione e per qualcuno fin troppa disponibilità) i canali per rompere gli ultimi muri. Più d’ogni altro, però, nel 2017 sarà il rapporto con gli Stati Uniti a meritare un occhio di riguardo.

IL TRENTENNIO DI “SANTA ALLEANZA”

Nell’ultimo trentennio, la Santa Sede ha giocato spesso di sponda con Washington, tra alti (gli anni Ottanta e l’alleanza tra Reagan e Giovanni Paolo II in chiave anti comunista) e bassi (le frizioni pesanti del 2003 riguardo la guerra in Iraq). A ogni modo, il canale era aperto e fruttuoso, anche durante il pontificato di Benedetto XVI, che ha irrobustito di vescovi assai in linea con la sua visione della Chiesa e del mondo le file dell’episcopato nordamericano. Con Francesco le cose sono progressivamente mutate (per farsene un’idea è sufficiente scorrere l’elenco dei presuli da lui nominati e, ancora di più delle creazioni cardinalizie fatte e negate). Le ultime elezioni della conferenza episcopale statunitense hanno mostrato una chiara distanza tra l’agenda del Pontefice e quella dei vescovi americani.

L’INCOGNITA TRUMP

Il problema, però, ora sarà legato al rapporto con Donald Trump, presidente sui generis non inquadrabile in alcuna categoria tradizionale della politica, visto che la definizione di “populista” appare banale e riduttiva rispetto alla portata storica della sua elezione alla Casa Bianca. Qualche tensione c’è stata, soprattutto dopo lo scambio a distanza tra l’allora candidato alle primarie repubblicane e il Papa riguardo il muro al confine con il Messico. Francesco a domanda rispose (“chi vuole muri non è cristiano”), Trump rispose e il portavoce Federico Lombardi chiuse la vicenda.

PRAGMATISMO SULLA CRISI SIRIANA

Su un piano superficiale, le opzioni sono due: pragmatismo e dialettica franca. La prima, più confacente allo stile della Segreteria di Stato, punta a esaltare i punti d’incontro e di collaborazione piuttosto che far emergere i punti di dissenso e di forte contrasto (che di certo non mancano). Un buon terreno per sperimentare questa strada è la crisi siriana. E’ nota l’opposizione di Francesco, nel 2013, a quelli che erano considerati imminenti raid aerei occidentali su Damasco per accelerare la caduta di Bashar el Assad.

IL RUOLO DI PUTIN

Così come è nota l’intesa con Vladimir Putin, benché dal Vaticano non gli sia mai stata riconosciuta la patente di difensore dei cristiani (dal Patriarcato di Mosca, sì). Da qui, progressivamente, Roma e Washington si sono allontanate sensibilmente, con Obama che non a caso puntava tutto sull’agenda sociale del Papa e sull’attenzione ai poveri per rimarcare una comunanza d’intenti. Troppo poco, però, per parlare di asse di ferro o di santa alleanza. Né poteva bastare il plauso americano all’enciclica Laudato Si’, letta anche come un chiaro beneplacito alle politiche ecologiste dell’Amministrazione democratica.

I PUNTI CRITICI

Ma questi sono anche i punti che più creano disaccordo con Trump, ancora di più ora che i nomi della sua Amministrazione sono noti. Diversi organi di stampa hanno riassunto il tutto parlando di governo di “generali e petrolieri”, il che non pare essere in sintonia con pensieri e opera papali. Sull’ambiente, la gara è persa in partenza: dopotutto, su questo, gli elettori sono espressi chiaramente.

ISOLAZIONISMO O INTERVENTISMO

Ma è il profilo internazionale del governo repubblicano a interessare maggiormente la Santa Sede. In teoria, una visione meno globale e più attenta ai particolarismi dovrebbe essere in sintonia con la Chiesa cattolica e ancor di più con l’auspicio di Francesco a guardare il mondo come a un poliedro e non a una sfera dove tutti i punti sono uguali e stanno alla stessa distanza dal centro. Il punto è: fino a quanto Trump si spingerà su questa linea? In campagna elettorale sembrava certo un progressivo ripiegamento degli Stati Uniti sull’isolazionismo, così caro al Grand Old Party fino a qualche decennio fa. Dalle nomine, però, pare concretizzarsi uno scenario diverso (se non opposto): interventismo – magari moderato – e rivendicazione del ruolo americano, dal medio oriente al Pacifico. Una strada, questa, che il Vaticano (impegnato a raffreddare la tensione con Pechino e a ristabilire la calma nel vicino oriente) non può seguire.

LA RUSSIA CONVITATO DI PIETRA

Alla fine, ciò che deciderà la fortuna (o la sfortuna) delle relazioni tra Washington e Roma, potrebbe essere proprio il disgelo tra gli Stati Uniti e la Russia di Vladimir Putin. Un’operazione che la Santa Sede guarda con grande attenzione e speranza per un risultato positivo.

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