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Da questa sera e fino al 4 aprile torna nella capitale, negli spazi dell’American Academy di via Masina, al Gianicolo, l’appuntamento con “Cinque Mostre”, la mostra annuale che vede protagoniste le opere dei Rome Prize Fellows, degli Italian Fellows e degli artisti invitati. Guest curator per il 2017 è Ilaria Gianni, curatrice indipendente, che per il secondo anno ha concepito un percorso espositivo diffuso negli spazi dell’accademia. Il progetto, che raccoglie diverse attitudini e prospettive di ricerca, mette in relazione, con interventi site-specific, il lavoro di artisti residenti presso l’American Academy in Rome e di artisti italiani e internazionali non residenti, valorizzando l’aspetto multidisciplinare e laboratoriale dell’Accademia, con il suo approccio che guarda ad arti visive, musica, letteratura, produzione audiovisiva, design, architettura, innovazione tecnologica.

Gli artisti e gli studiosi coinvolti sono: Gregory Bailey & Kristi Cheramie, E.V. Day, Tomaso De Luca (in collaborazione con Vincenzo Giannetti), Gabriele De Santis, Kyle deCamp, Stanislao Di Giugno, Hussein Fancy (in collaborazione con Jonathan Berger, Caroline Cheung, Leon Grek, Enrico Riley, Joseph Williams e gli Accettella-Teatro Mongiovino), Piero Golia, Robert Hutchison; MODU – Phu Hoang e Rachely Rotem (in collaborazione con Jonathan Berger, Hussein Fancy, Jack Livings, Christoph Meinrenken, Matthew Null), Emiliano Maggi, Annalisa Metta (in collaborazione con Jonathan Berger), Nicole Miller, Nicola Pecoraro, Michael Queenland, David Reinfurt, Enrico Riley, Danielle Simon (in collaborazione con E.V.Day, Zazie Gnecchi Ruscone e G.A.N Made in Italy), Yasmin Vobis & Aaron Forrest.

Prendendo spunto dal termine multiforme “Visione”, e sottolineando i suoi aspetti fisico-percettivi, politici, soprannaturali e mistici, la mostra, intitolata “VISION (S)”, esplora le strategie che gli artisti e gli studiosi impiegano per riconfigurare la nostra percezione del mondo. Questa mostra collettiva riunisce diversi approcci e modi di vedere, che traggono la loro ispirazione dal presente, da fatti provenienti dal passato, e da previsioni del futuro. Impiegando varie strategie, compresa la traduzione, la storia, le performance, l’intuizione poetica, la finzione o il misticismo, le opere mettono in discussione le nozioni di cultura, provenienza e appartenenza.

Vision(s) offre un incontro tra le indagini personali degli artisti e degli studiosi coinvolti, un saggio dei loro processi creativi e lo sguardo esterno dello spettatore, spesso già influenzato o compromesso. La mostra si snoda attraverso un filo conduttore non lineare, sfidando esclusivamente il desiderio degli spettatori di capire attraverso la vista, con le opere che si confondono tra stili e generi. Ogni contributo agisce come un’apparizione unica, proiettando il visitatore in un’esperienza in cui non si interagisce passivamente, ma si partecipa in maniera operativa ad una nuova dimensione, diventando vittime e produttori di visioni stesse.

In tal modo, le opere ci ricordano che il rapporto tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo non è mai risolto (John Berger, “Modi di Vedere”, 1972), scatenando un nuovo processo di ricerca di senso, tra immaginazione e consapevolezza. Il realismo e la sua ordinaria, profana visione del mondo sono superati dalla fantasia e dalla profezia, dall’intuizione e dall’illusione. Entrambi – autori e spettatori – diventano costruttori di mondi, attraverso una diversa interpretazione e costruzione del reale.

Vision(s) ospita inoltre il progetto “La più geniale tra le maschere (The Most Brilliant of the Masks)”, mostra curata dall’artista Gabriele De Santis, con Ilaria Gianni. Artisti e autori provenienti da differenti campi – Gundam Air, Cornelia Baltes, Elisabetta Benassi, Roberto Coda Zabetta, Tomaso De Luca, Gabriele De Santis, Sean Edwards, Anna Franceschini, Zazie Gnecchi Ruscone, Grossi Maglioni, Isabell Heimerdinger, Lauren Keeley, Emiliano Maggi, Jonathan Monk, Luigi Ontani, Pino Pasquali, Gianni Politi, Francis Upritchard, Alessandro Vizzini, Bedwyr Williams – costruiscono una indagine sulla maschera di Arlecchino, uno dei protagonisti principali della commedia dell’arte italiana, una figura complessa e simbolica che incarna una metafora visionaria. I suoi attributi sociali, concepiti cinque secoli fa, sono ancora riconoscibili oggi. Le multiformi qualità di Arlecchino: il servo comico, scaltro e avido (zanni); il fedele, paziente, credulone, amoroso cameriere; l’amorale, anche se buono nello spirito; l’infernale e oscuro demonio della notte (da qui l’origine del suo nome Hölle König – Re degli Inferi – poi Helleking, e, infine, Arlecchino). Tutti questi aspetti diventano una scusa per trasmettere una interpretazione variegata dell’idea di maschera, tradotta attraverso approcci formali e performativi disparati.

Il visitatore entra in un dietro le quinte, una mascherata, per l’appunto, che rivela la verità all’interno della commedia, il dramma dell’umanità, il dark-side e la vulnerabilità della facciata di un sistema sociale solo apparentemente stabile. Il finissage è previsto per il 4 aprile con un programma di performance live.

Mostre

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