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Mercoledì, durante il suo viaggio a Mosca, il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha incontrato Vladimir Putin.

LA PREMESSA: PERCHÉ L’INCONTRO È NOTIZIA

L’incontro, che sarebbe stato nell’ottica del rituale protocollo diplomatico che segue una normale visita ufficiale del capo della diplomazia americana in Russia, è invece una notizia a se stante, perché si lega al particolare contesto temporale. Martedì la Casa Bianca in un briefing ha spiegato che, secondo le proprie informazioni di signal intelligence e intelligence geospaziale (satelliti), la Russia ha coperto l’attacco chimico siriano del 4 aprile su Idlib. In un documento diffuso ai media, Washington dice di aver tracciato un Su-22 del governo siriano sopra il luogo dell’attacco nelle stesse ore dell’attacco.

LA RICOSTRUZIONE DI MCMASTER

Nella base da cui è decollato l’aereo, e in cui le intel americane aveva seguito movimenti sospetti degli uomini del regime collegati alle armi chimiche (tecnici e comandanti), c’erano anche consiglieri russi, e questo per gli americani significa che Mosca non poteva non sapere ciò che stava succedendo. Il documento americano dice anche che la Russia sta continuando a coprire a livello diplomatico il regime siriano e diffonde false informazioni sull’accaduto, e questo “è inaccettabile”; l’America e i suoi alleati non “tollereranno” più questi fatti “vergognosi”, né chi ne permette “la copertura”. Il documento è stato elaborato dal Consiglio di Sicurezza nazionale a guida Herbert McMaster, tra i leader della nuova postura trumpiana; e forse non è troppo azzardato pensare che il testo avrebbe preso un senso diverso se fosse stato elaborato dal suo predecessore Michael Flynn, dimessosi per essere stato sorpreso a inciuciare con i russi.

IL CONTRATTACCO DI PUTIN

Nella guerra di nervi che ha preceduto l’incontro tra Tillerson e Putin, a cui ha fatto da gran ciambellano il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il presidente russo aveva invece paragonato poche ore prima l’attacco americano contro la base siriana di Shayrat, che Washington ha ordinato come punizione per le bombe chimiche che hanno ucciso un centinaio di civili, all’invasione dell’Iraq nel 2013. “Sta succedendo la stessa cosa di quando un diplomatico americano disse al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa”, ha detto Putin, usando una leva comunicativa che sapeva bene sarebbe andata a colpire un argomento sensibile per Donald Trump.

CORTOCIRCUITO TRUMPIANO

Per il trumpiano doc la dichiarazioni di Putin è infatti un corto circuito che mette i due leader di riferimento l’uno contro l’altro, su un piano già usato dall’americano, ma in senso diverso. Trump nei mesi passati ha polemizzato sull’invasione in Iraq collegandola a quello che secondo lui è stato uno dei grossi errori dell’intelligence statunitense – sbagliare sulle armi di Saddam, appunto – per spiegare agli americani che il controspionaggio che ha incolpato la Russia di aver interferito nelle elezioni presidenziali con attacchi informatici per screditare Hillary Clinton, si stava sbagliando di nuovo. E forse, di nuovo, lo stavano facendo con dolo, era il messaggio sottinteso. L’argomento serviva soprattutto per allontanare i possibili collegamenti tra lui e i russi: verificare eventuali collusioni è invece l’obiettivo di un’indagine dell’Fbi che ogni giorno si arricchisce di nuovi dettagli, nonostante l’attenzione mediatica sia stata spostata sull’attacco americano in Siria e sulle sue conseguenze internazionali.

L’ULTIMATUM

Però più della dialettica aspra di circostanza, la partenza di Tillerson per Mosca si portava dietro un ultimatum uscito per bocca del rappresentante americano a margine della riunione ministeriale del G7, che lunedì e martedì s’è tenuta a Lucca. Il segretario decollato dall’Italia stava andando verso la capitale russa con un messaggio stringente: per la Russia è arrivato il momento di scegliere, o noi e i nostri alleati, o il regime siriano, i terroristi di Hezbollah, l’Iran e la galassia di milizie e gangster della guerra che dà sostegno materiale a Bashar el Assad. Il Cremlino aveva già definito “ridicola” l’idea americana che la Russia cambiasse repentinamente posizione sul conflitto siriano, ossia mollasse la partnership strategica che la lega a Damasco.

FIDUCIA AL MINIMO

C’è una foto che forse spiega meglio delle dichiarazioni la situazione: l’ha scattata Sergei Chirikov per EPA, e ritrae lo sguardo, tra lo scettico e l’annoiato, di Tillerson seduto davanti a Lavrov. È un linguaggio del volto perfetto, sottolineato dal segretario con una frase che rimbalza sui media di tutto il mondo: “Il livello di fiducia tra Stati Uniti e Russia non è migliorato, forse è peggiorato”. “Low level” nei rapporti è la definizione chiave dell’incontro moscovita, e stride con l’idea che l’amministrazione Trump, dove il segretario di Stato gode dell’Ordine dell’Amicizia russo, doveva essere quella della distensione.

Rex Tillerson ascolta Sergei Lavrov. Photo credit: Sergei Chirikov/EPA

 

L’incontro ha seguito la rotta prevista: ognuno è restato nelle proprie posizioni per quanto riguarda la Siria. D’altronde Trump dalla Casa Bianca, dove nelle stesse ore del vertice di Mosca ha ricevuto la visita del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, definiva il presidente siriano un”animale”, “una persona malvagia” che la Russia sta sostenendo facendo del male al mondo. Non bastasse, Trump ha sottolineato che la Nato “non è più obsoleta”, riprendendo una sua definizione dell’Alleanza uscita ai tempi della campagna elettorale, con cui aveva fatto infuriare tutti gli alleati ma aveva ricevuto consensi da Mosca. Trump ha sottolineato che gli Stati Uniti stanno nella Nato al “cento per cento”, e questo è un altro messaggio velenoso per la Russia. (Restano comunque margini nelle relazioni a lungo termine? Possibile, altrimenti la visita di Tillerson sarebbe saltata e Putin non lo avrebbe incontrato, due messaggi impliciti nel vertice di Mosca da non sottovalutare).

LO SCONTRO ALL’ONU

Nel frattempo, al Palazzo di Vetro, la Russia bocciava nuovamente una bozza del Consiglio di Sicurezza che avrebbe dovuto chiedere conto a Damasco per l’uso di armi chimiche. Tecnicamente il governo siriano è in violazione di un accordo firmato nel 2013 in sede Onu con garanti Stati Uniti e Russia: quell’accordo avrebbe dovuto portare allo smantellamento completo dell’arsenale chimico di Assad, dopo il tragico attacco di Ghouta. Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, avevano fatto in modo che passasse una linea più netta – il governo siriano avrebbe dovuto mostrare prove su dove si trovavano i propri bombardieri al momento dell’attacco di martedì 4 aprile – contro le posizioni più sfumate inserite in un bozza che anche l’Italia avrebbe voluto sostenere. Il veto russo alla risoluzione s’è concluso con il delegato di Mosca che per poco non viene alle mani con quello inglese. Ripartirà nelle prossime settimane il processo di pace onusiano per la Siria guidato da Staffan de Mistura, con Stati Uniti e Russia che hanno pochi punti di contatto: lo Stato islamico va combattuto – ma è argomento parallelo alla guerra civile –, la Siria deve restare unita, niente divisioni territoriali che potrebbero aumentare il settarismo.

Perché il livello di fiducia tra Russia e Stati Uniti è al minimo

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