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Sarebbe una storia, per molti versi minore, se non avesse grandi implicazioni politiche. E non solo per l’effetto domino che quella vicenda può avere in tanti altri comuni. A partire da Pavia. Il confronto a Genova è stato tra due diversi modi di concepire la democrazia. Da un lato la logica dell’ordinamento giuridico, con le sue regole democratiche; dall’altro il potere dell’algoritmo. Quella possibilità, attribuita al gestore della “rete” di modificare, a suo insindacabile giudizio, i risultati della chiamata alle armi. Salvo poi, come nel caso di Genova, rovesciare il tavolo, di fronte ad un risultato non condiviso. E richiamare i riservisti – in questo caso i militanti di altri comuni – per soddisfare i propri desideri.

Quali saranno, ora, le conseguenze di un simile smacco? A leggere i giornali, sembrerebbe che le prossime elezioni amministrative dovrebbero riservare più di una sorpresa. La “resistibile ascesa” dei grillini sembra essere abbastanza in forse, di fronte alle iniziative dei propri competitori. I quali, a loro volta, dovranno trovare la forza per liberarsi del manto funerario nel quale sono avvolti da troppo tempo.

L’elettorato si aspetta un rinnovamento non solo parolaio. Slogan e promesse mirabolanti non hanno più diritto di cittadinanza di fronte allo sfascio di tante realtà locali. Occorre competenza e quel senso delle istituzioni che caratterizza la buona amministrazione. Ciò che finora è mancato alle corde dei cinque stelle e non solo. Basta guardare allo stato comatoso in cui versa l’amministrazione capitolina. L’errore commesso è stato quello di non essersi curati in tempo di predisporre un programma d’intervento adeguato. Sebbene fossero presenti, da tempo, nell’assemblea della Capitale.

A questo si poteva supplire, estraendo dal proprio blocco sociale di riferimento, le necessarie professionalità. Impresa comunque difficile per una forza politica che trova il suo radicamento soprattutto tra gli sconfitti del processo di globalizzazione che Grillo vorrebbe pensionare anticipatamente con il suo “salario di cittadinanza”: i teorici dello Stato pigliatutto, dell’acqua e dei trasporti solo gestiti dal pubblico, dell’assistenzialismo elevato a sistema. Ed ecco allora la pantomima della lunga processione di assessori: rimasti tali solo lo spazio di un mattino. Oppure il rifiuto incomprensibile della candidatura di Roma alle Olimpiadi.

Scelte che fanno il paio con l’endorsement che lo stesso Grillo si è affrettato a fare ai “no tap” pugliesi, nell’attesa messianica di affidare l’intero fabbisogno energetico del Paese alle risorse della green economy. Che deve essere naturalmente coltivata, ma avendo presenti i limiti intrinseci a questa prospettiva. Che nessun atto di suprema volontà riuscirà a superare. Dopo la decisione del Giudice di Genova, questo retroterra, finora rimasto in ombra dietro le luci dell’assalto al Palazzo d’inverno, presidiato dall’odiata “casta” dei vecchi politici, è destinato a riconquistare il palcoscenico. E mostrare tutta la sua inconsistenza.

Se ne è reso conto Davide Casaleggio con la sua kermesse di Ivrea. Cui ha fatto seguito l’immediata reazione di Grillo. Che, smesso l’abito logoro della sola protesta, ha indossato il doppio petto dell’uomo di governo. Fosse sufficiente. Una cultura di questo tipo – lo dimostrano questi ultimi vent’anni – non si improvvisa. Richiede un’elaborazione complessa sul nodo problematico “continuità – rinnovamento” che caratterizza la storia di ciascun Paese. Dove non esistono “parentesi” – nemmeno il fascismo lo fu – ma solo percorsi accidentati in cui il nuovo si mescola con il vecchio e viceversa. Speriamo che dopo tanto parlare di presunte svolte epocali si torni con i piedi per terra. Fosse così, il caso Genova ne sarebbe stato un importante catalizzatore.

Vi racconto le contraddizioni a 5 Stelle da Genova a Ivrea

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