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Quali sono le opzioni strategiche che gli Stati Uniti di Donald Trump adotteranno nel corso dei prossimi anni? Quali i rapporti con la Russia, l’Europa e l’Italia?

Formiche.net ha posto queste e altre domande a Ian Bremmer, noto analista di politica estera americana, firma del Time e fondatore di Eurasia Group.

Dottor Bremmer, a pochi giorni dall’inizio della presidenza Trump il mondo si domanda come sarà l’America dei prossimi anni. Tra le opzioni che lei ha definito nel libro “Superpower” quale le sembra più vicina alle scelte strategiche di Trump?
Con ogni probabilità, l’opzione “America indipendente” più si avvicina alla visione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Trump vuole un’America che agisca unilateralmente, in modo trans-nazionale, ed è disposto a lasciar cadere le responsabilità multilaterali degli Usa o a ripensare le alleanze di lunga data per consolidare tale visione. Tuttavia, egli si discosta dall’idea di “America indipendente” che ho descritto nel mio libro in quanto il nuovo presidente degli Stati Uniti non si preoccuperà di guidare il mondo facendo da esempio per gli altri Paesi, sebbene più volte abbia affermato a parole di volerlo fare. Questo è un dato assai importante.
Per dirla tutta, la sua capacità di attuare le idee che ha in mente per l’America rimane una domanda aperta, considerata la sostanziale mancanza di esperienza nelle relazioni internazionali (sia sua che del suo staff alla Casa Bianca), per non parlare delle diverse inclinazioni in materia di politica estera tra i membri del suo gabinetto.

L’attenzione della comunità internazionale è particolarmente focalizzata sul suo “rapporto speciale” con Vladimir Putin. L’arrivo di Donald Trump allo studio ovale rappresenta l’inizio di una “nuova era” nei rapporti tra Russia e Stati Uniti? Il Congresso ed il partito repubblicano sono pronti a questa svolta? E come reagirà l’establishment a Washington?
Beh, non la definirei una “nuova era” perché non si basa certamente su valori di lungo corso. Questo mi porta a pensare che, con grande probabilità, tale svolta non durerà a lungo. Premesso ciò, si tratta comunque di un cambiamento significativo, un’inversione a 180 gradi nelle relazioni di breve termine. Trump è stato assai costante nel dimostrare ammirazione e nell’affermare di voler lavorare con Putin, nonostante la vicenda “hacking” lo abbia messo con le spalle al muro. Certamente, l’establishment a Washington si opporrà in maniera dura a qualsiasi tentativo di riavvicinamento alla Russia ma parlando realisticamente, la volontà di conservare una posizione intransigente rimane priorità assoluta solo per uno sparuto numero di persone al Congresso. Per tale motivo Trump avrà un ampio margine di manovra per riaprire la partita delle sanzioni internazionali; la vera domanda da porsi è se vi saranno fughe di notizie da parte della comunità intelligence alla luce del duro scontro in corso. Eventuali nuove rivelazioni potrebbero essere semplicemente imbarazzanti per Trump oppure potrebbero rappresentare un problema assai più grave per il nuovo presidente.

La nomina di Dan Coats quale nuovo Director of National Intelligence e di Mike Pompeo quale nuovo direttore della Cia sono state annunciate in un momento assai turbolento nel rapporto tra Trump e la comunità intelligence statunitense. I report relativi alle interferenze russe nella campagna presidenziale hanno creato una vera e propria frattura tra i vertici della sicurezza nazionale ed il presidente. Dobbiamo aspettarci un’inversione di marcia da parte della comunità intelligence o possiamo immaginare nuovi colpi di scena?
Dovremmo aspettarci nuove indagini, questa volta guidate dal Congresso. La domanda più importante da porsi, però, è quanto il presidente andrà lontano con tale politicizzazione dell’intera comunità intelligence. Trump è ben noto per non gradire le informazioni contrarie alle sue opinioni. Se cercherà di politicizzare il mondo della sicurezza nazionale, alcuni analisti si uniformeranno definitivamente, altri invece passeranno informazioni alla stampa. Tale situazione rappresenta un potenziale pericolo per il presidente, soprattutto se non tutto ciò che riguarda il suo rapporto con la Russia è “alla luce del sole”. Se c’è qualcosa da sapere, mi aspetto che alla fine emergerà.

La nuova Amministrazione riuscirà a bilanciare l’attivismo di Putin in Siria e la presenza russa sempre più ingombrante nel Mediterraneo? La politica estera di Barack Obama sarà definitivamente archiviata?
Per quanto riguarda la Siria, la politica di Obama è stata quella di “tentare e starne fuori”. “Assad must go” era un mero slogan, non una vera e propria scelta politica. Trump punterà sulla collaborazione con Putin per la Siria ma per il resto si limiterà a dare priorità alla lotta contro il terrorismo dentro e fuori dalla regione.

In che modo il presidente Trump affronterà la debolezza strutturale dell’Unione Europea? La nuova amministrazione Usa preferirà il bilateralismo al multilateralismo nelle relazioni transatlantiche?
Sono assolutamente convinto che l’amministrazione Trump preferirà il bilateralismo ai rapporti multilaterali, non solo con l’Europa ma con il mondo in generale. Sarà molto più semplice stipulare accordi in questo modo, specialmente per quelli che porteranno un beneficio sproporzionato agli Stati Uniti.
Il rapporto tra Usa e la Germania è di particolare interesse in questa materia; in parte perché Trump non sembra intenzionato a fare ciò che è necessario per sostenere l’alleanza storica con i Paesi strategicamente importanti, e in parte perché la sua politica (si pensi al suo sostegno ai movimenti populisti, alla Brexit e alla Russia in particolare) è in chiara contrapposizione con le posizioni di Angela Merkel.

L’ex primo ministro italiano, Matteo Renzi, ha avuto una particolare affinità con Barack Obama. Ora sia l’Italia che gli Stati Uniti hanno un nuovo esecutivo e a Roma si guarda con grande attenzione alla scelta di Trump per il nuovo ambasciatore in Italia. Quali sono le sue previsioni sul rapporto tra Trump e l’Italia?
Lo sforzo italiano a fare di più nel settore della Difesa (data la debolezza strutturale europea in materia di sicurezza) e il desiderio di Roma a lavorare con la Russia sono entrambi molto allineati con la nuova amministrazione. Trump, però, darà maggiore credito ai partiti euroscettici, quantomeno in via indiretta. L’Italia rimane uno stretto alleato degli Stati Uniti ma tale politica è destinata a danneggiare in una certa misura le relazioni bilaterali.
Rimangono poi tante questioni in sospeso dal lato italiano: quanto debole sarà il nuovo governo? Quanto tempo durerà? Quanto influirà la possibilità di una crisi bancaria sul rapporto Italia – Stati Uniti?

Il panorama italiano è focalizzato sulle prossime elezioni politiche e una nuova forza, il Movimento Cinque Stelle, sfiderà l’establishment romano proprio come Donald Trump ha fatto a Washington. Crede che Luigi Di Maio, probabile candidato premier per il M5S, avrà una concreta chance di affermazione alle prossime elezioni? Come dobbiamo valutare questa nuova e generalizzata tendenza a votare nuove forze politiche, preferendole all’establishment?
Per ironia della sorte, credo che il Movimento Cinque Stelle avrebbe avuto un vantaggio assai maggiore se il referendum promosso dall’ex primo ministro fosse passato, viste le nuove regole e le riforme politiche che ne sarebbero derivate. Ora è assai meno probabile che siano messi nelle condizioni di governare, seppure fossero la prima forza politica alle prossime elezioni (possibilità molto plausibile). Per di più, l’idea di una vittoria non sarebbe astratta se riuscissero a raggiungere un accordo con le altre forze populiste/euroscettiche nel Paese.

bremmer

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