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Dove va il mondo? La domanda si fa via via più angosciosa, ora che gli Stati mesopotamici (Iraq, Siria e Iran) non riescono a trovare pace e con loro tutti i plessi strategici africani e del Golfo Persico, dal nord al centro, sino a giungere alle foci del Nilo. Lì il Sudan è lacerato dalla crisi di secessione e dalla guerra che gli Stati del Golfo combattono contro lo Yemen. Decisivo è lo scisma islamico tra sciiti e sunniti. Ma questo scisma ha ormai delle forze nazionali di riferimento che combattono una guerra per procura per impadronirsi delle risorse energetiche e geostrategiche. Chi controlla Gibuti, per esempio, controlla un’immensa quota del commercio afro-asiatico e non a caso, alle originarie basi francesi, si aggiungono anno dopo anno nuove potenze.

Tutto deriva dalla caduta di potenza degli Usa. Due volte: la prima nel 2003, dopo l’invasione dell’Iraq e la sciaguratissima distruzione del suo esercito e della sua polizia, che hanno formato così il nerbo dell’Isis; la seconda con lo sciagurato discorso di Obama all’Università americana del Cairo, dove ha chiamato alla rivolta laica contro Mubarak e il mondo si è così ritrovato un presidente più autoritario che mai, Morsi, con l’aggravante della legge islamica applicata dal più alto grado dello Stato sino all’ultimo accampamento nomade. Si è dovuti intervenire con la forza per estirpare il male e si è messo così a repentaglio anche il Sinai, con le inevitabili conseguenze sul conflitto sempre incandescente tra Palestina e Israele che pare non finire mai, incancrenendosi sino al punto di dover abbandonare l’ipotesi di “due stati-due nazioni”.

Il tutto mentre la globalizzazione ripiegava su se stessa e dava vita ai protezionismi economici selettivi. Le ragioni? Due e tutte assai complesse. La prima è la fine della spinta propulsiva della Cina, che ora si rivolge al mercato interno, sostituendo le importazioni e facendo così crollare il commercio mondiale. La Cina ora vede fuggire dalle sue terre gran parte degli investimenti esteri diretti ad alta tecnologia e intensità di capitale umano: i cinesi non sanno esprimere queste capacità e le industrie di pregio mondiali tornano a casa. Ma la Cina, ciò che oggi perde in potenza economica, conquista in potenza militare e geostrategica e si riarma grazie alla Russia e a buona parte degli stati asiatici e si espande aggressivamente alla conquista del Mar della Cina del Sud.

La seconda ragione che spiega il cambio di verso della globalizzazione è la caduta geo-strategica di potenza degli Usa. Il gigante nordamericano non controlla più gli alleati asiatici. Le defezioni filippina e malese sono evidenti e segnano un cambio di orientamento negli schieramenti internazionali: d’ora innanzi tutti sceglieranno volta a volta sul piano tattico e non strategico e la concorrenza tra Usa e Cina per il controllo dell’area sarà una corsa continua, infinita. Ecco ciò ch’io chiamo le relazioni instabili, a frattali.

Questo, Trump e soprattutto i suoi consiglieri militari, l’hanno capito benissimo. Il Giappone, infatti, sempre fedelissimo, sta uscendo dalla recessione economica, ma non riesce a farsi carico di tutto il lascito di potenza nordamericano. Si prevede un’Asia in cui si ritorna alla diplomazia realistica à la Kissinger. Il ministro della Difesa filippino ha parlato recentemente molto chiaro per tutti, dicendo: “Tratteremo volta a volta tra Cina e Usa per capire chi offre a più convenienti prezzi armi e conquiste territoriali e sceglieremo volta a volta”.

Ma c’è dell’altro: la Russia, anche in Asia, esprime un dominio di potenza tecnologica e militare impressionante. Del resto il suo destino o è euro-asiatico oppure non è. È per questo che essa è così attiva in Medio Oriente. Deve riaffermare un ruolo nei mari caldi che l’aggressività Nato aveva messo in discussione nel Mediterraneo. Le basi in Crimea e in Siria devono essere non solo difese, ma se possibile aumentate. Ecco dunque la difesa ostinata di Assad in Siria e il nuovo tentativo di fare della Turchia un alleato strategico, sacrificando sull’altare del realismo i curdi e tranquillizzando in tal modo i turchi, che diventano alleati bifronti: sono nella Nato e lavoravano con i russi.

La Russia vuol costruire una mezzaluna sciita dall’Iran all’Iraq sino alla Siria e al Libano, difendendo Israele dagli estremisti distruttivi. Netanyahu deve riconoscerlo. Così facendo, la Russia minaccia permanentemente l’Arabia Saudita (a capo dell’Opec), alleandosi tatticamente con essa di volta in volta come dimostra il recente accordo sulle produzione petrolifere tra Opec e nazioni non Opec di cui la Russia è la componente più importante.

La tensione internazionale parte oggi più dal Mediterraneo che dall’Asia o dall’Africa. La tensione continuerà sino a quando non si giungerà a un accordo generale di ricostruzione e di ripartizione geostrategica dell’area mesopotamica. Ma questa volta la Russia la farà da padrona. Gli Usa, d’altro canto, con Trump, oggi entrano nell’era di un realismo internazionale, sospeso tra neo-protezionismo economico selettivo e neo-isolazionismo diplomatico non radicale, che sceglie come alleato centrale la Russia per poter avere le mani libere in Sud America (il Brasile insegna). In Europa si deve contrastare sia la deflazione tedesca, detestata da Trump più di Obama, sia la spregiudicatezza del Regno Unito che ha scelto di abbandonare l’Europa per un accordo strategico di lungo periodo con la Cina sul piano finanziario e militare. Il Regno Unito aspira nuovamente a un profilo imperiale come la Francia, anche se quest’ultima aspira solo a un dominio in Africa, a spese soprattutto dell’Italia.

In questo senso l’Italia si riscopre nuda e povera laddove dovrebbe essere invece ricca dei suoi più bei vestiti e più che mai forte perché il Mediterraneo è il suo mare. Ma la “Campagna d’Italia”, che altro non è che il compiersi dell’annoso tentativo di spogliarci economicamente delle risorse bancarie e industriali nazionali essenziali, non è iniziata solo dalle Alpi alle Piramidi, ossia dalle industrie degli stampisti e dalla guglia di Unicredit e dalle colline senesi: è iniziata e continua nel Mediterraneo, a partire dall’Africa del Nord ,da cui traiamo la maggioranza del nostro rifornimento energetico. Per questo il cambiamento radicale di orientamento diplomatico Usa, così come si profila con Trump, può essere vitale per noi: la fine delle sanzioni alla Russia, una pressione sulla Germania perché moderi e poi abbandoni l’ordoliberismo devastatore, la pace nella Mesopotamia, sono tutti passi della neo-sistemazione internazionale del mondo essenziale per la nostra sopravvivenza economica.

Il mondo va verso un bipolarismo Usa-Russia, con una geometria variabile di accordi e di dure battaglie commerciali con la Cina. Sarà una lotta imprevedibile e continua che potrà sfociare in scontri militari. Gli stessi pericoli si correranno in Europa se la Nato non abbandona la sua politica anti-storica aggressiva verso la Russia. I pericoli non sono nel Mare Artico, ma tutti nel Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. I piccoli stati dell’Europa centrale devono finirla di rotolarsi nelle loro miserie, come affermava Istvan Bibo, il grande storico ungherese, e devono comprendere che solo la Russia può stabilizzare l’hearthland, ossia le terre che, passando per l’Anatolia, giungono, attraverso il Pakistan e l’Afghanistan, alla foce dell’Indo. Ecco l’India: deve ancora diplomaticamente risvegliarsi da un lungo sonno, a cui l’ha costretta la casta braminica dopo l’indipendenza.

Il dilemma rimane ed è tutto europeo: chi colmerà il vuoto di potenza che la rottura del Regno Unito con la Germania e l’alleanza con la Cina di lungo periodo ha provocato nel mondo? Potrebbe farlo solo un’Europa gollista, ossia un’Europa che vada dall’Atlantico agli Urali: solo essa pacificherebbe e ricostruirebbe il Medio Oriente, uscendo così dalla recessione mondiale. Solo essa si alleerebbe agli Usa forte di un potere immenso di dissuasione verso il potere cinese e ridarebbe finalmente all’Africa il ruolo centrale che si merita, pacificando l’Asia dai mille conflitti e dalle scarse risorse. Va costruito un nuovo mondo.

Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

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Vi racconto i nuovi equilibri geopolitici fra Usa, Russia e Cina

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