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A differenza delle scienze in cui il progresso porta a superare per sempre le vecchie idee, in economia il moto delle idee assomiglia a un pendolo. Il progresso delle conoscenze prende spesso la forma della riscoperta di vecchie idee che tornano in auge per poi essere superate da altre accantonate in precedenza.

Lo si vede bene nella discussione fra protezionismo e libero scambio che sta tornando prepotentemente in evidenza, anche a seguito dell’elezione di Donald Trump. Per oltre duecento anni – notava Keynes nel 1936 – economisti e politici non avevano nutrito dubbi sul fatto che ciascun Paese dovesse difendere le produzioni nazionali. Poi, alla fine del ‘700, si era affermata la visione opposta che i vantaggi del commercio internazionale superassero di gran lunga i suoi rischi. David Ricardo aveva mostrato, con un celebre esempio, che invece di produrre in Inghilterra e in Portogallo sia vino sia tessuti, conveniva, dato il clima del Portogallo, produrre qui il vino da cedere in parte all’Inghilterra, in cambio dei tessuti che in Inghilterra potevano essere prodotti a costi minori che in Portogallo. Gli inglesi avrebbero pagato meno il vino o ne avrebbero potuto consumare di più, e lo stesso i portoghesi per i tessuti. Meno ostacoli alla divisione internazionale del lavoro, meglio per i singoli Paesi e per il mondo.

Questa è la filosofia degli ultimi trent’anni. Poiché i costi dei prodotti industriali in Cina sono più bassi che altrove, meglio produrre lì e importare. Ma ora si vede che può avvenire che dai Paesi dove si concentrano le produzioni non rifluisce verso il resto del mondo il potere d’acquisto. Così gli uni accumulano riserve valutarie e gli altri disoccupazione industriale.

A questo punto sono nati i dubbi. Perché nell’area dell’euro dovremmo accettare che la Germania accumuli attivi di bilancia dei pagamenti, mentre noi accumuliamo disoccupazione? Perché gli Stati Uniti dovrebbero accettare che Ford e General Motors producano altrove? In Europa è nata l’opposizione all’euro; negli Stati Uniti è stato eletto Trump.

È un male riscoprire il mercantilismo? Dipende fin dove si spinge il pendolo: se tutti decidono di alzare le barriere doganali contro le importazioni, staremo tutti peggio. Ma se un po’ di protezionismo porterà a regole più equilibrate che impongano ai Paesi con grandi attivi commerciali di rivalutare la moneta e se gli organismi internazionali impareranno a controllare forme di concorrenza esasperata per cui in taluni Paesi le condizioni di lavoro sembrano quelle dell’Inghilterra del primo ‘800, allora forse ben venga la svolta. Un eccesso tende a provocarne uno opposto, ma, se gli uomini di governo dimostrano saggezza, si può trovare una posizione di equilibrio lontana dagli estremi più dannosi.

 

 

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Perché un equilibrato mercantilismo può essere salutare. Le idee di Trump e il caso della Germania

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