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Apprensione alla presidenza del Consiglio per una notizia arrivata oggi a sorpresa dalla Consulta. La Corte costituzionale ha infatti bacchettato la riforma Madia. O meglio, ha sottolineato l’illegittimità di alcuni articoli delle legge delega che riforma la Pubblica amministrazione.

Non c’è pace dunque per la riforma voluta dal governo Renzi, dopo le critiche anche del Consiglio di Stato. Ora è la Consulta a intervenire: la Corte costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità di quattro articoli della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione.

Nel mirino dei magistrati costituzionale è in particolare la parte della norma in cui è previsto che i decreti attuativi siano assunti previo parere anziché previa intesa nella Conferenza unificata Stato Regioni.

Tra gli articoli dichiarati illegittimi, c’è anche quello che riguarda la riforma della dirigenza pubblica, il cui decreto attuativo è stato approvato ieri dal consiglio dei ministri. La questione su questo punto, è molto spinosa, scrive Andrea Bassi del Messaggero. Il decreto è stato approvato dal governo senza aver raggiunto nessuna intesa con le Regioni.

Con la Consulta che ha dichiarato illegittima la legge “madre”, “se venisse pubblicato in Gazzetta Ufficiale potrebbe essere immediatamente impugnato e dunque dichiarato esso stesso incostituzionale”, scrive il Messaggero.

La bacchettata a sorpresa della Corte costituzionale con tutta probabilità è destinata a rinfocolare le polemiche da tempo sottotraccia tra i vertici politici e burocratici di Palazzo Chigi e del ministero retto da Marianna Madia. Entrambi si rimpallano da tempo la vera paternità “tecnica” sulla stesura finale del provvedimento, criticato prima dal Consiglio di Stato e ora anche dalla Corte costituzionale.

Considerati i tempi per l’esercizio della delega, ormai in scadenza, il Decreto Legislativo sulla Riforma della Dirigenza Pubblica è incostituzionale e il Governo non potrà sanare l’incostituzionalità, si dice tra i sindacati.

Ecco i dettagli sulla decisione della Consulta. Nel documento di sintesi pubblicato dalla Corte si ricorda che le norme impugnate dal Veneto “delegano il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria”. Si tratta cioè di interventi che “influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali (e, in alcuni casi, degli enti locali)”.

La Consulta ha ponderato se “fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Questa prevalenza escluderebbe la violazione delle competenze regionali”. Di contro, se la materia non viene riconosciuta come di competenza dello Stato, per la Corte si deve rispettare “il principio di leale collaborazione” e prevedere “adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze”. Nella sua sentenza, la Corte sottolinea il ruolo centrale della Conferenza Stato-Regioni: l’intesa al suo interno è ritenuto “un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati”.

Alla luce di tali premesse, la Consulta ha precisato che le “pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale riguardano quindi esclusivamente le deleghe al Governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”.

La Corte, guardando al futuro, dice Repubblica, sottolinea comunque che “le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione”.

Ecco come la Corte costituzionale bistratta la riforma Madia della Pubblica amministrazione

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