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Gli Stati Uniti lasceranno il Niger, accogliendo la richiesta della giunta militare che nel luglio scorso ha preso il controllo di Niamey. I media americani riportano che la decisione è frutto di un incontro, a Washington, tra il vicesegretario di Stato Kurt Campbell e il primo ministro nominato dai militari nigerini al potere, Ali Mahaman Lamine Zeine.

Il capo del governo provvisorio è l’uomo che sta curando le relazioni estere: per esempio, a gennaio era a Mosca, poi a Teheran e infine a Belgrado. Tre Paesi che potrebbero in vario modo contribuire a sviluppare la rete dell’attuale politica internazionale nigerina: in particolare, la Russia è stata apparentemente scelta come principale security partner dai golpisti, che hanno chiesto prima alla Francia e ora agli Usa di lasciare il Paese e interrompere i rapporti di cooperazione; l’Iran è invece un attore ibrido, che potrebbe fornire equipaggiamento militare (droni per esempio) in cambio di accesso alle riserve di uranio del Niger.

Gli Usa escono, l’Italia resta: ecco perché

Campbell e Lamine Zeine avrebbero concordato che una delegazione statunitense si recherà entro pochi giorni nella capitale Niamey per organizzare un ritiro ordinato. La televisione statale nigerina aveva già annunciato che funzionari statunitensi avrebbero visitato il Paese la prossima settimana: dunque la decisione a Washington è stata solo formalizzata? Il Niger è stato a lungo il perno di una campagna di counter-terrorism per combattere gli jihadisti nell’Africa occidentale. In una base da 100 milioni costruita nella periferia desertica di Agadez, al centro del Paese, c’è una flotta di droni d’attacco che è stata usata per sconfiggere lo Stato islamico in Libia gli anni scorsi e per continuare adesso a martellare la leadership dei gruppi armati – che stanno via via prendendo territorio nel Sahel.

A marzo dello scorso anno, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, andò in Niger nel tentativo di mostrare sostegno e rafforzare il presidente Mohamed Bazoum, che l’Occidente considerava un alleato chiave anche in quanto baluardo democratico in mezzo al caos regionale. Ma quattro mesi dopo i militari hanno deposto Bazoum, e il suo Paese è diventato il simbolo di come l’Africa – con cui l’Occidente intende riagganciare i rapporti – stia seguendo dinamiche che sfuggono alla gestione occidentale, interessi che non collimano. Anche per questo l’Italia sta cercando di gestire i precedenti rapporti con equilibrio, dialogando con la giunta e lavorando per mantenere la presenza di circa trecento militari nel Paese come ultimo puntello delle precedenti collaborazioni con Usa e Ue.

Gli obiettivi sono doppi: garantire che lo sforzo contro i gruppi armati rimanga di livello e capacità adeguate (rispetto ad altri Paesi della regione il Niger è stato relativamente sicuro) ed evitare che Niamey scivoli nelle mani rivali di Russia, Iran e Cina. I potenziali effetti del disordine nigerino e saheliano sono vasti, e vanno dalla propagazione del terrorismo – con la regione che potrebbe diventare un safe haven per i militanti, che vi potrebbero ricostruire un ambiente protetto e da lì organizzare azioni contro l’Europa, e contemporaneamente produrre destabilizzazione e ulteriori profughi che risalirebbero le rotte mediterranee – ma toccano anche aspetti più strategici. Il potenziale collegamento con l’Iran porterebbe a Teheran materiale nucleare (prima destinato alle centrali francesi) e aiutare il programma atomico iraniano. La lite con gli Stati Uniti si legherebbe alle critiche fatte alla giunta riguardo certi collegamenti.

Il G7 è preoccupato per il Sahel

Le preoccupazioni sono state messe nero su bianco nel Communiqué conclusivo della riunione ministeriale del G7 ospitata a Capri nei giorni scorsi, con i leader delle sette potenze occidentali che hanno espresso “grave preoccupazione per il deterioramento della situazione della sicurezza nel Sahel, aggravato dalla retromarcia dei principi dello stato costituzionale di diritto, della democrazia e del buon governo e dalla regressione nei quadri di cooperazione regionale”. Per il gruppo, quello che si è creato è uno scenario politico sempre più precario e imprevedibile, che richiede “sforzi rinnovati da parte di tutti gli attori e parti interessate” nella riconfigurazione delle risposte internazionali e regionali alla sfida di crescente tensione politica, confronto e instabilità.

Nello specifico, preoccupa appunto “la diffusione di minacce e attività terroristiche, che portano a conflitti e causano una diffusa miseria e sfollamento della popolazione civile. Siamo inorriditi dalle violazioni dei diritti umani commesse da più parti, comprese dai proxy russi nella regione”. I proxy russi menzionati sono in sostanza gli ex mercenari del gruppo Wagner, che hanno stretto accordi di cooperazione con varie nazioni africane e che per esempio in Mali sono stati protagonisti di massacri sanguinosi durante operazioni di lotta al terrorismo – attività con cui la giunta golpista locale spesso camuffa missioni contro le opposizioni etniche e politiche. Ora la Wagner non esiste più, dopo la morte del suo leader insurrezionale Yvgeny Prigozhin, ma è stata sostituita dai più ordinati Africa Corps, coordinati dalla Difesa (tramite la famigerata intelligence militare, il Gru). Membri degli Africa Corps sono arrivati in Niger, probabilmente via Libia, nei giorni scorsi.

“Non vediamo l’ora di rafforzare ulteriormente la nostra cooperazione con l’Unione africana, le organizzazioni regionali e le Nazioni Unite nel promuovere la stabilità, la sicurezza, il buon governo e lo sviluppo nel Sahel, prevenendo uno spill-over di insicurezza verso il Golfo di Guinea e il Nord Africa, così come la migrazione irregolare verso il Nord Africa, l’Europa e l’emisfero occidentale”, dice il G7. “Siamo pronti ad aiutare gli Stati del Sahel ad accelerare il ritmo della transizione verso il ritorno dell’ordine costituzionale”, aggiungono i sette, congratulandosi con la Mauritania (neo presidente dell’UA, protagonista da poco di uno scontro diplomatico con il Mali per colpa dei mercenari russi). Con l’uscita americana, il Niger perderà ulteriore contatto con l’Occidente – legame che sarà tutto in mano ai militari italiani, per non lasciare spazi, come spiegava il generale Francesco Paolo Figliuolo in audizione parlamentare l’11 aprile.

Gli Usa hanno deciso di lasciare il Niger. Il G7 teme per il Sahel

Gli Stati Uniti avrebbero accettato di cedere alla richiesta della giunta al potere in Niger: i circa mille militari americani presenti per missioni di lotta al terrorismo lasceranno il Paese. Tra le preoccupazioni del G7 per l’erosione della stabilità nel Sahel, Niamey spezza un altro legame con l’Occidente, ed è ora soltanto l’Italia a mantenere il dialogo – anche per conto di Usa e Ue

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