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Torino e Roma, il Lingotto e il Brancaccio. Due città e due luoghi simbolo per due visioni diverse di sinistra. Venerdì Matteo Renzi ha fatto un tuffo nel passato iniziando la sua campagna per la segreteria laddove Walter Veltroni, dieci anni fa, aveva inaugurato il Pd nel nome della “vocazione maggioritaria”. Ieri Giuliano Pisapia ha lanciato la sua nuova avventura politica, “Campo progressista” in quel teatro, il Brancaccio che ospitò la nascita ufficiale dell’Ulivo di Romano Prodi.

Il progetto di Pisapia punta a ricomporre le varie anime di sinistra e di centrosinistra che non si riconoscono nel Pd renziano. L’epoca “dell’uomo solo al comando è finita, sia a destra sia a sinistra”, dice l’ex sindaco di Milano che rilancia il Mattarellum come unica legge elettorale capace di consentire il ritorno alle coalizioni e assicurare la vittoria. Un movimento che attragga i militanti di estrema sinistra che, all’esterno del teatro, distribuiscono il Manifesto, ma che coinvolga anche “i marxisti per Tabacci” così come simpaticamente sono stati rinominati dal palco i sostenitori del deputato di estrazione democristiana (presente in sala) che nella giunta Pisapia ricopriva il ruolo di assessore al Bilancio.

Un’esperienza che l’ex sindaco rivendica con orgoglio ricordando che, nella sua giunta di “sinistra-centro” trovò sempre l’unanimità con gli alleati centristi anche nelle scelte più controverse, come il patrocinio del comune di Milano al gay pride. A fare gli onori di casa è stato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che ha deciso di restare nel Pd, pur da una posizione avversa a quella renziana, e che guida anch’egli una larga coalizione di centrosinistra.

In sala era presente anche il vendoliano Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, uno dei pochi primi cittadini di centrosinistra ad essere stato rieletto al primo turno alle ultime amministrative e, soprattutto, l’unico “reduce” di quel “movimento arancione” che nacque nel 2011, proprio con la vittoria di Pisapia a Milano. “È possibile tenere insieme una coalizione larga di centrosinistra. Lo faccio io, l’ha fatto Giuliano e tanti sindaci d’Italia e penso che si possa riprodurre a livello nazionale ritrovando l’unità attorno a tematiche comuni come i diritti e il lavoro”, spiega Zedda.

“Un nuovo centrosinistra è possibile”, è questo il mantra che anima le speranze dei democratici antirenziani presenti in sala come Gianni Cuperlo e Marco Miccoli. Per raggiungere questo obiettivo, però, prima è necessario riunire le varie anime della sinistra che vanno dal “Movimento dei democratici e progressisti” di Roberto Speranza (presente in prima fila) alla presidente della Camera, Laura Boldrini, al sindaco Pd di Bologna, Virginio Merola che quattro anni fa stava con Renzi e, ora, sostiene Andrea Orlando. Un progetto che, almeno per il momento, non affascina la “Sinistra Italiana” di Nicola Fratoianni ma a cui hanno aderito molti ex vendoliani come Arturo Scotto e Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio.

La speranza di molti è il ritorno al proporzionale. Il “non detto” è la nascita di un movimento di sinistra che superi la soglia di sbarramento e costringa Renzi a scegliere tra Pisapia e il duo Alfano-Verdini. Ma c’è anche chi, come il deputato di Mdp Alfredo D’Attorre, che ha abbandonato il Pd nel lontano novembre 2015, non esclude un governo con i Cinquestelle. “Penso – dice il deputato – che dobbiamo essere consapevoli che in un sistema proporzionale le convergenze si costruiscono sulla base dei programmi anche con soggetti che ci appaiono lontani”.

Di certo un’alleanza con Renzi, soprattutto dopo il discorso di Pisapia, appare difficile da concretizzarsi in tempi brevi. All’ex premier non basterà parlare di compagni o scegliere l’ex diessino Maurizio Martina come suo vicini per fermare l’emorragia di voti di elettori e militanti democratici. Un’emorragia che parte dalla Capitale dove la base è molto critica nei confronti dell’ex premier. Giulia Orsi, segretario dello storico circolo di via dei Giubbonari, ora trasferitosi in via dei Cappellari dopo lo sfratto, lo dice chiaramente: “A Renzi di Roma non è mai importato nulla, ma il partito ha cambiato completamente pelle anche qui. In questo Renzi ha fatto scuola e gli addii al partito sono numerosi, è una frana continua”. A Pisapia l’arduo compito di accogliere chi cerca riparo da questa frana. Che sia lui il nuovo Prodi che invocano da tempo Bersani e compagni?

Ecco chi Giuliano Pisapia corteggia per coltivare il campo progressista

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