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“Un livello così alto di tensioni tra l’Fbi e la Casa Bianca non si è mai visto nella storia, neanche ai tempi del Watergate (quando semmai lo scontro era aperto tra giudici e presidente). È una situazione unica, che rischia di disarticolare i sistemi di check-and-balance americani e il buon nome dell’agenzia, o della presidenza”. Commenta così il generale Carlo Jean, professore di studi strategici alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss e alla Link Campus di Roma, la situazione che si è creata a Washington dopo le gravi accuse alzate dal presidente Donald Trump contro Barack Obama.

LA VICENDA

Sabato scorso Trump, usando il profilo Twitter personale, ha incolpato il suo predecessore di essere il macchinatore di una specie di complotto: lo avrebbe fatto spiare senza autorizzazione, mettendo sotto controllo il suo telefono personale ai tempi della campagna elettorale. Comey il giorno successivo ha inviato il dipartimento di Giustizia, che è l’istituzione che controlla l’Fbi, a smentire le accuse di Trump. Il New York Times ha scritto: “La richiesta di Comey è un rimprovero significativo a un presidente in carica, e pone il più importante funzionario del paese incaricato di far applicare la legge nella posizione di mettere in dubbio le affermazioni di Trump”. Dai retroscena raccontati sui media americani il presidente sarebbe furioso, non ha replicato personalmente, ma ha affidato un commento alla sua vice portavoce, Sarah Sanders (che da non sposata fa Huckabee ed è la figlia del governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, candidato alle primarie repubblicane e presto ritirato per entrare tra i supporter di Trump). Sanders era già andata in Tv a difendere le prime uscite presidenziali contro Obama; un compito difficoltoso perché, almeno stando alle informazioni pubblicate sempre dal New York Times, nemmeno i più stretti collaboratori come lei erano a conoscenza delle sparate del presidente. Poi si è occupata di far sapere al mondo che la Casa Bianca non era interessa al giudizio del capo dell’Fbi.

CHI È COMEY

“Una circostanza unica – spiega Jean a Formiche.net – come se il presidente del Consiglio italiano parlasse contro il Dis: possono esserci divergenze, ma di solito non seguono mai linee ufficiali”. Ma in questo comportamento di Trump c’è una strategia? “Non è chiaro. Potrebbe essere stato realmente colpito dal complicato dossier-Russia e reagire d’istinto, potrebbe essere una reazione che rientra nella sua personalità (viene dipinto come un tipo vendicativo), potrebbe essere un modo per provocare le dimissioni di Comey”. Trump ha riconfermato Comey a gennaio: al direttore era stato assegnato l’incarico da Obama (confermato dal Senato a luglio del 2013).  Avrà davanti altri sei anno e mezzo del suo mandato da dieci, come ha ricordato lui stesso intervento alla conferenza del Boston Collage sulla cyber security: “Siete incastrati con me”, ha detto. Comey è stato registrato come repubblicano, ha sostenuto in passato le campagne elettorali di John McCain (prominente senatore Rep, ora tra i più critici contro Trump) e di Mitt Romney, altro senatore che ha corso alla primarie contro l’attuale presidente. Comey nel luglio del 2016, mentre testimoniava davanti al Congresso sul caso Emailgate, disse di non essere attualmente registrato con nessun partito. Proprio l’inchiesta sull’uso improprio di un server privato da parte di Hillary Clinton per gestire comunicazioni istituzionali mentre era segretario di Stato, lo ha portato alla ribalta della cronaca internazionale e lo ha fatto entrare nel pantheon dei repubblicani. L’Fbi indagò su Clinton: aveva usato l’indirizzo email personale per nascondere qualche comunicazione? Alla fine giunse alla conclusione che nel comportamento, “altamente negligente” ammonì Comey, non c’era stato alcun dolo. I repubblicani tuttavia utilizzarono l’inchiesta (che fu riaperta a pochi giorni dal voto per un ulteriore controllo) come leva per costruire storie e narrativa a proposito della “disonestà” della Clinton. Storie a volte alterate, altre volte completamente false, che si abbinarono alle altre uscite dopo l’hacking contro gli indirizzi email di esponenti del partito democratico. Operazioni che secondo le intelligence furono orchestrate dalla Russia per favorire la vittoria di Trump.

DA STAR A NEMICO?

Il presidente confermò personalmente l’incarico a Comey durante il ricevimento che si tenne domenica 22 gennaio alla Casa Bianca: l’Inaugurazione c’era stata appena due giorni prima, e i presenti raccontarono che quando Trump incontrò il direttore lo salutò calorosamente con un “Hey! C’è anche James, che ormai è diventato più famoso di me!”. Ora cosa cambia? “Trump sta subendo le inchieste dell’Fbi sui suoi collegamenti con la Russia. Inchieste di cui si occupa il Bureau perché riguardano un’attività investigativa federale e un affare di controspionaggio” aggiunge Jean: “Possibile che questi attacchi abbiano anche come obiettivo provocare una destabilizzazione della sua figura, come direttore intendo. Sappiamo per esempio che alla Cia Trump ha piazzato un suo uomo, Mike Pompeo, e forse vuole fare lo stesso con i Federali, dove per forza di cose si è trovato in precedenza costretto alla riconferma. Oppure sta mettendo contro le agenzie per allargare i poteri dell’una e rimodulare quelli dell’altra”. Più volte nel corso di questi primi cinquanta giorni d’ufficio Trump è entrato in scontro con le agenzie di intelligence, e sono circolati più volte rumors sulla sua volontà di rivederne ruoli e attività.

DA DOVE ARRIVANO LE ACCUSE

Pare che Trump sia piuttosto insofferente davanti ai briefing di intelligence quotidiani, con i quali potrebbe ottenere informazioni, anche sensibili, di ogni genere. Li reputa lenti e poco funzionali, preferisce di fatto – ormai è un altro aspetto noto, sebbene anche questo non ufficiale – informarsi tramite i servizi televisivi di emittenti amiche, come la Fox, o tramite una rassegna stampa che viene giornalmente redatta dai suoi collaboratori in modo da non riportare gli articoli più scomodi e più aggressivi contro di lui. Per esempio, le accuse di complotto contro Obama dei giorni scorsi, facile siano arrivate tramite un articolo di Breitbart News, sito proto-trumpista diretto fino all’anno scorso dall’attuale stratega politico della Casa Bianca (Stephen Bannon), spesso zeppo di bufale. Breitbart ha ripreso le informazioni pubblicate da una trasmissione radiofonica di Mark Levin e un vecchio articolo di un sito di destra e ha costruito la storia secondo la quale l’Fbi aveva presentato richieste per intercettare Trump e i suoi uomini nell’ambito dell’inchiesta sui link con la Russia; le richieste sarebbero state negate da un tribunale, ma il Bureau aveva proceduto lo stesso con le intercettazioni, dice la storia. Nessuna delle informazioni contenute ha mai avuto conferma, e anzi il capo dell’Fbi ha invitato a non dargli peso; anche Obama e l’allora direttore dell’Intelligence nazionale James Clapper hanno smentito le accuse. Eppure Trump le ha utilizzate per cavalcare una situazione gravissima, accusando Obama di un complotto e mettendosi contro all’Fbi.

isis

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