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E intesa fu. L’accordo tra il Comune di Roma, la società di calcio del presidente statunitense James Pallotta e il costruttore del nuovo impianto sportivo è stato trovato. Lo Stadio della Roma si farà, a Tor di Valle dove voleva il costruttore, ma senza torri e a cubature ridotte (qui l’approfondimento di Formiche.net e il commento di Gianfranco Polillo).

L’AFFONDO DE “IL MESSAGGERO”

La notizia, confermata poche ore fa dal sindaco pentastellato Virginia Raggi, è stata accolta non troppo favorevolmente dal quotidiano di Roma Il Messaggero. Un editoriale a firma Mario Ajello intitolato “La grande elargizione/ I danni inferti alla Capitale da chi altera la concorrenza”, il quotidiano diretto da Virman Cusenza (nella foto) associa il progetto dello Stadio alla Grande Elargizione del 2013, «uno spaccato eloquente che racconta l’alterazione della concorrenza a cui la Capitale è stata piegata, in spregio e in sfregio all’interesse generale», «il brutto simbolo del rapporto insano che si è venuto a creare, sulla pelle dei cittadini e di quella che dovrebbe essere la normale fisiologia democratica, tra certa imprenditoria, la politica che la favorisce e la pubblica amministrazione che consente e aziona l’alterazione del mercato. Il risultato di questo groviglio oscuro è la produzione di clientele».

LA GRANDE ELARGIZIONE DEL 2013

«La Grande Elargizione – si legge nell’editoriale di ieri del quotidiano di proprietà del gruppo Caltagirone – ha creato un’atmosfera di familiarità e di vassallaggi e un sistema di ri-feudalizzazione della cosa pubblica che è insieme letale e anti-moderno. Si è negato a Roma il mercato. Si sono calpestati i principi della libera concorrenza». «Se è lecito devolvere finanziamenti a partiti e a candidati per motivi politici – riporta il quotidiano –, lascia sbigottiti invece captare la benevolenza dei consiglieri comunali tramite regalie a buon rendere. Questo scambio contiene altre storture evidenti».

«L’imprenditore che elargisce – continua l’editoriale del quotidiano diretto da Cusenza – lo fa per stabilire una confidenza e una frequentazione con i soggetti beneficiati. Li stringe a se in una sorta di familismo amorale, che è una delle peggiori usanze d’Italia nella sua storia. Ed è chiaro che, per imprenditori di altro tipo, estranei a queste logiche e a questi mondi, sottomondi e mondi di mezzo, lo spazio di movimento si restringe e la strada è in salita». La Grande Elargizione «che ha fatto di Roma una città chiusa e dunque impossibilitata a crescere e a rivaleggiare con le altre metropoli europee, ha riguardato esponenti della passata legislatura capitolina in parte spazzati via (chi dalle Procure, chi dalla mancata fiducia dell’elettorato) ma anche consiglieri tuttora in carica».

LE ACCUSE CONTRO LUCA PARNASI

L’affondo del quotidiano romano si fa più esplicito in un altro articolo a doppia firma Simone Canettieri e Fabio Rossi in cui, citando un articolo del 20 febbraio tratto dal blog del vice direttore di Libero Franco Bechis, si rimarca che il costruttore Luca Parnasi ha finanziato «a pioggia» i consiglieri comunali del Pd e del Pdl, molti dei quali votarono successivamente “sì” al progetto dello stadio.

«Si tratta, si badi bene, di finanziamenti assolutamente legali e trasparenti, denunciati dai singoli consiglieri (come previsto dalla legge) e consultabili da tutti», specifica Il Messaggero. Che aggiunge: «Tanti gli esponenti dell’aula Giulio Cesare, durante la passata consiliatura, avevano quindi ottenuto aiuti per la campagna elettorale dal gruppo interessato alla costruzione di quello che le associazioni ambientaliste definivano l’ “Ecomostro” di Tor di Valle. Molti consiglieri hanno votato a favore della delibera, altri invece si sono astenuti o addirittura schierati contro».

I VOTI FAVOREVOLI

E ne cita alcuni. In particolare Fabrizio Panecaldo, all’epoca coordinatore della maggioranza «che sosteneva Marino e in seguito capogruppo del Pd», l’ex capogruppo dem Francesco D’Ausilio, «che aveva lasciato la guida della pattuglia dopo l’esplosione dell’inchiesta su Mafia Capitale, e altri consiglieri di maggioranza che risultano aver ricevuto finanziamenti elettorali del gruppo di Parnasi. Dall’ex presidente della commissione urbanistica Antonio Stampete all’allora presidente della commissione Roma Capitale, Gianni Paris». «Fuori dalla maggioranza – si legge ancora – voti positivi arrivarono da Forza Italia, con Giordano Tredicine e Davide Bordoni. Ma anche da Ignazio Cozzoli, eletto in una lista civica del centrodestra».

CONTRARI E ASTENUTI

«Tra i consiglieri in carica nel 2014 che avevano ricevuto finanziamenti ce ne sono anche alcuni che non hanno votato a favore della pubblica utilità dello stadio di Tor di Valle», spiega il quotidiano di Via del Tritone. «Ricca la pattuglia di chi non ha proprio partecipato alla votazione della delibera: in primis l’ex inquilino del Campidoglio, Gianni Alemanno, seguito dalla sua ex vicesindaco, Sveva Belviso, e da Giovanni Quarzo, all’epoca esponente di Forza Italia». Sul fronte degli astenuti «c’era invece Lavinia Mennuni, presidente della commissione trasparenza e consigliere di Fratelli d’Italia. Un altro rappresentante di Fdi, Dario Rossin, si espresse addirittura contro. Così come Alessandro Onorato, capogruppo della Lista Marchini, che in aula Giulio Cesare espresse le sue perplessità sull’esiguità delle opere pubbliche da realizzare, e poi disse no».

LE CINQUE QUESTIONI SOLLEVATE DAL QUOTIDIANO 

La polemica del quotidiano di Roma contro il progetto dello stadio non è certamente nuova. Già in un editoriale del settembre 2014 Il Messaggero sollevava cinque questioni sul tema: «Sarà rigorosamente verificata la corrispondenza tra l’entità dei costi dichiarati per la realizzazione del complesso sportivo-immobiliare e quella dei costi sostenuti?». Poi, «sarà accertato che il valore delle aree in cui sorgerà l’opera sia l’equo corrispettivo delle cubature realizzate, vista l’entità record degli edifici che sorgeranno accanto allo stadio?». Terza domanda: «Si è in grado di fugare ogni dubbio che l’operazione Tor di Valle non configuri una maxi regalo di Stato nei confronti di un privato?». E ancora, «c’è la ragionevole certezza che non si violino sacrosanti principi di libera concorrenza, per la concentrazione delle cubature?». Quinta domanda: «Dato che si va a realizzare un milione di metri cubi in una città che non si espande, non c’è il rischio di danneggiare l’intera comunità visto che si andrebbe a fabbricare uffici in grado di ospitare 25 mila impiegati con relativo spostamento quotidiano che andrebbe ad incidere su un tessuto urbano più congestionato? Non ne uscirebbe stravolto l’impianto pensato con l’attuale piano regolatore».

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