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L’arsenale c’era, a sentir lei, e avrebbe permesso di lanciare una serie di bombe atomiche mediatiche in grado di infliggere danni pesanti. D’altronde, quando dici di avere in cassaforte (ma al Fatto Quotidiano ha ammesso di custodirli in un caveau di un’azienda specializzata) le carte della Cosea (la commissione di riforma delle finanze vaticane), i dossier delle Nunziature (le ambasciate), persino i dossier sulla sicurezza interna della Santa Sede (roba, com’è noto, da servizi segreti), l’attesa che si crea diventa spasmodica.

E invece “Nel nome di Pietro”, il volume di Francesca Immacolata Chaouqui pubblicato da Sperling & Kupfer, non sembra aver raccolto grossi consensi dalla stampa specializzata. Anzi, in un caso il “ni” porta la firma dell’autorevolissimo vaticanista americano John Allen sul prestigioso sito Crux.

Ma andiamo con ordine. La prima recensione è di Marco Ansaldo, su Repubblica. Ansaldo dice una cosa nel chiudere il suo pezzo: “Francesca Chaouqui ha forse scritto meno di quello che conosce. Il nome di Pietro, come battezzerà il figlio nato dopo la sua condanna a dieci mesi (pena però sospesa), sembra un prologo, benché zeppo di interpretazioni. Resta tanto da scoprire, ancora, sui segreti immensi del Vaticano”. Interlocutorio.

Mentre Monica Bernabè scrive per El Mundo: “Si tratta di un libro scritto in forma di romanzo, a differenza di quelli pubblicati dai giornalisti processati per Vatileaks 2 (Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, ndr). Inclusi alcuni frammenti del testo che sembrano un giallo”. Certo: “Non si lesinano dettagli né documentazione”, e conclude: “Chaouqui considera che si sono accaniti su di lei perché faceva parte di una commissione che pretendeva portare una trasformazione in Vaticano. Almeno è quel che lascia capire nel suo libro”.

E veniamo ad Allen, che all’ex commissaria voluta da Papa Francesco alla Cosea fa una serie di appunti: “Lo scopo del libro sembra essere quello di rifare l’immagine della Chaoqui, che passa da femme fatale a idealista incompresa travolta da una serie di lotte interne e giochi di potere che non sono opera sua”. Il vaticanista americano, che parla anch’egli di un testo più simile a un diario nel quale comunque “a volte è difficile separare i fatti dalla fiction”, è colpito dal “Principale candidato al ruolo di cattivo” secondo “Nel nome di Pietro”, e cioè il cardinale George Pell, il ministro delle finanze vaticane.

“Per come la mette Chaouqui”, scrive Allen, “lei aveva dei dubbi su Pell sin dall’inizio”. Solo che se la pierre afferma di aver percepito Pell come un nemico sin dall’estate 2014, mentre Allen ricorda: “L’ho intervistata per il Boston Globe a giugno 2014 e allora ha detto: ‘Credo siamo ad un momento di cambiamento storico. In parte grazie a Pell, che appoggio completamente'”.

Per il collega: “La gente non sempre dice ai giornalisti che cosa pensa, ma quelle parole non suonano come figlie di quel tipo di cautela che uno, che adesso dice di aver visto allora Pell come un cancro, potrebbe usare in questi casi”. Allen promuove il libro per la denuncia dello “spesso disfunzionale e a volte corrotto mondo della finanza papale”.

Anche se: “Il libro aggiunge relativamente poche nuove tessere al puzzle – e come per il tentativo di riabilitazione della Chaouqui, beh, anche questo è ancora da vedere”. La montagna ha partorito il topolino?

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

Francesca Immacolata Chaouqui

Fatti o fiction? Cosa dicono i vaticanisti del libro di Francesca Chaouqui "Nel nome di Pietro"

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