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Le quote di partecipazione nella Banca d’Italia, tre anni dopo la riforma di Enrico Letta che le aveva rivalutate, tornano al centro dell’attenzione. Intesa Sanpaolo, infatti, primo socio di Palazzo Koch con una quota del 33% seguita a distanza dal quasi 18% di Unicredit, venerdì 3 febbraio ha annunciato la cessione di una quota pari a circa il 4,88% del capitale sociale per un controvalore di circa 366 milioni, pari al valore nominale e coincidente con il valore di carico.

SI PASSA ALL’INCASSO (E SI GUADAGNA)

Attenzione, però: il prezzo di cessione coincide con il valore nominale e con quello di carico nel bilancio della banca proprio perché la riforma avviata dal governo Letta rivalutò in un colpo solo il patrimonio dei Bankitalia da 156 mila euro a 7,5 miliardi di euro. In molti all’epoca gridarono al regalo alle banche. In effetti non si stanziarono soldi pubblici in loro favore, ma è evidente che grazie alla rivalutazione del capitale ebbero la possibilità di passare all’incasso mettendo in tasca molto di più di quello che sarebbe stato prima del 2014. In pratica, quel “regalo” consente ora a Intesa e Unicredit, in un momento particolarmente complesso per le banche italiane, di potere mettere un po’ di fieno in cascina. A patto ovviamente che ci sia qualcuno che voglia comprare le quote.

IL PIACERE DELLE FONDAZIONI

A fare un “regaluccio” alla sola Intesa sono le due fondazioni sue principali azioniste, Compagnia di San Paolo e Cariplo (quest’ultima presieduta da Giuseppe Guzzetti, nella foto). Il 4,88% che consente alla banca di Ca’ de Sass a scendere intorno al 28% dell’autorità di via Nazionale è stato infatti venduto a proprio a questi due enti, oltre che ad alcuni fondi pensione. Il fatto è che dal primo gennaio di quest’anno i dividendi di Intesa sulla quota sono stati sterilizzati per la parte della quota eccedente il 3 per cento (le banche avrebbero dovuto vendere le partecipazioni eccedenti entro il 2016; non essendovi riuscite, hanno subito la penalizzazione sulla remunerazione). Una cosa non da poco se si considera che, come cedole, Intesa l’anno scorso aveva percepito intorno a 115 milioni sui 340 totali distribuiti da Bankitalia. Una quota che quest’anno appare destinata a ridursi drasticamente per la sterilizzazione del 3 per cento. Meno male allora che sono scese in campo le Fondazioni socie, che, da una parte, potranno incassare loro stesse i lauti dividendi di Palazzo Koch (si spartiranno il 4,88% in modo da non dovere subire la sterilizzazione al 3%) e, dall’altra, hanno fatto transitare 366 milioni nelle casse della banca. Certo, la quota di Intesa risulta ancora ampiamente sopra il 3% ma un aiuto dai soci è senza dubbio arrivato.

L’URGENZA DELLA QUESTIONE

Che la questione della rivalutazione delle quote di Bankitalia fosse cara alle banche lo dimostrano alcune intercettazioni risalenti al 2014, emerse dall’inchiesta su Ubi e riportate di recente da Panorama, che chiamano in causa l’ex presidente di Intesa (ora presidente emerito), Giovanni Bazoli, da sempre molto vicino a Guzzetti. In una di queste intercettazioni, si legge sul settimanale del gruppo Mondadori, “Bazoli chiede a Gros-Pietro (presidente del cda di Intesa) se ha parlato con Visco (governatore di Bankitalia) per il problema delle quote di Banca d’Italia. Gros-Pietro risponde di no, Bazoli quindi suggerisce di parlargliene”.

IL RUOLO DI BAZOLI

Bazoli, emerge sempre da intercettazioni, venne anche allertato, all’epoca dell’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, per via dell’innalzamento dell’aliquota sulla plusvalenza dal 12 al 26% che l’ex premier minacciava. E che poi ci fu, come ricorda Panorama, per finanziare il famoso bonus di 80 euro. Insomma, Letta aveva fatto un regalo alle banche e Renzi se ne era ripreso una parte con la tassazione. Bazoli, all’epoca, non riuscì a fermare l’ex premier del Pd. Qualcuno disse che il banchiere 84enne stesse perdendo un po’ del suo tradizionale potere. Quello stesso potere che potrebbe riconquistare appieno se la sua creatura Intesa riuscisse effettivamente a mettere le mani sulle Generali.

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