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Beh, Matteo Renzi si è presa una bella rivincita su Giorgio Napolitano, col merito suppletivo di avere educatamente evitato, per comprensibili e condivisibili ragioni umane e di galateo istituzionale, di polemizzare con lui. Che in una curiosa e troppo improvvisata intervista al Corriere della Sera gli aveva un po’ tirato le orecchie per la polemica che sta conducendo con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande. Ai quali Renzi, illusosi di averli portati dalla sua parte nel recente vertice marino di Ventotene, rimprovera la gestione troppo rigoristica dell’Unione Europea, privilegiando la cosiddetta austerità allo sviluppo, e l’abitudine, ormai, di scaricare sull’Italia e sugli altri Paesi rivieraschi gli oneri dell’epocale fenomeno dell’immigrazione via mare dall’Africa e dal Medio Oriente.

Il presidente emerito della Repubblica, sentendosi forse in dovere di dare consigli, per quanto non richiesti, al troppo giovane presidente del Consiglio, si era doluto che Renzi avesse sottovalutato il ruolo e la disponibilità del presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean Claude Juncker. E’ su di lui che il governo italiano dovrebbe puntare per portare avanti la sua pur giusta causa per una gestione ancora più “flessibile” dei conti europei e per una ripartizione finalmente equa degli immigrati, che approdano in Italia volendo in gran parte transitarvi, non fermarsi. Prendersela con la Merkel e Hollande, secondo Napolitano, sarebbe non inutile, ma addirittura controproducente, specie dopo il programma ambizioso della Commissione Europea esposto dal suo presidente al Parlamento comunitario.

Ebbene, il signor Juncker, proprio lui, ben consapevole che non rimarrebbe un’ora in più al suo posto senza il consenso della cancelliera tedesca, soprattutto ora che la signora ha problemi crescenti con il suo elettorato, ha avvertito il governo italiano che ha già avuto troppa flessibilità per pretenderne ancora di più. E gli ha rinfacciato i 19 miliardi di euro che ha potuto spendere quest’anno usufruendo proprio della flessibilità ottenuta dalla Commissione di Bruxelles.

Insomma, Juncker ha mandato a Renzi un vaffa…di quelli che neppure Beppe Grillo riesce a gridare nelle sue piazze. Un vaffa….di fronte al quale impallidisce anche quello che la sindaca di Roma Virginia Raggi ha di fatto mandato, volente o nolente, al povero Giovanni Malagò, presidente del Coni, preferendo un pranzo, sia pure col contorno di un incontro prima con un ministro, alla puntualità di un appuntamento con lui sul problema della candidatura della Capitale per le Olimpiadi 2024. Un appuntamento che perciò è saltato, senza però che la sindaca rinviasse poi l’annunciata conferenza stampa per il suo no ai giochi a Roma, senza passare prima per un voto del Consiglio Comunale, dovendo evidentemente bastare ed avanzare la posizione di Grillo.

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L’imperdibile Massimo Gramellini, sulla Stampa, si è chiesto se sia preferibile “l’ipocrisia” del baciamano fatto da un galante Malagò il giorno dopo alla Raggi, in una cerimonia al Coni, o la sincerità della sindaca grillina di Roma, che il giorno prima gli aveva fatto lo sgarbo del ritardo per far capire bene il carattere, che io chiamerei ruspante, del suo movimento. I cui dirigenti e militanti inorridiscono alla sola idea di un contatto con altri che non siano della loro stessa matrice politica o addirittura umana, anche a costo di sembrare, o di essere, razzisti. Non dimentichiamoci quella voglia irrefrenabile dichiarata da una senatrice grillina di “sputare in faccia”, anzi di “vomitare” addosso all’odiato Berlusconi nell’aula del Senato, prima che l’ex presidente del Consiglio decadesse da parlamentare con una votazione a scrutinio palese, perché a scrutinio segreto si temeva che il “pregiudicato”, in quanto condannato per frode fiscale in via definitiva, potesse farcela a restare.

Francamente, non so come rispondere al dubbio di Gramellini, se preferire cioè il pur “freddo” baciamano di Malagò, come lo ha definito il cronista del Messaggero, che ne avrà avuto contezza vedendolo di persona, o la franchezza sguaiata dei grillini. Però una cosa mi sento di dire: passi per il Campidoglio, che è già tanto, ma non vorrei vedere i grillini alla prova a Palazzo Chigi. Dove potremmo rimpiangere la freddezza –per rimanere nel tema- di quel passaggio frettoloso del campanello d’argento del Consiglio dei Ministri dalle mani di Enrico Letta a quelle di Matteo Renzi: frettoloso, d’altronde, come tutto il percorso della crisi che l’aveva preceduto.

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L’ultima dei grillini l’ha annunciata un giornale che ne conosce bene, e in gran parte condivide, umori e tendenze: Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, informato in tempo reale, diciamo così, della pesca fatta dalla Raggi fra i magistrati per sostituire gli assessori dimissionari o deposti al Bilancio. Non solo fra i magistrati, ma la pesca della sindaca di Roma è continuata solo fra quelli contabili, fattisi le ossa alla Corte dei Conti, come il rimosso ex procuratore generale del Lazio.

Adesso, salvo sorprese, che con i grillini non si possono mai escludere, e verifiche dei registri degli indagati in tutte le Procure della Repubblica, magari successive anche alla nomina, che nel momento in cui scrivo non risulta ancora formalizzata, il turno è quello dell’ex magistrato contabile Salvatore Tutino.

Non ne sarà contento un altro e ben più famoso magistrato, l’ex presidente della Camera Luciano Violante, che da tempo contesta giustamente alla politica nazionale e a quella locale di sfuggire alle proprie responsabilità arruolando le toghe per i posti che scottano.

Tutte le ultime mattane di Juncker che spiazzano Napolitano e Renzi

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