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Di strepitoso non c’è solo un successo, come ci eravamo abituati a pensare sino a qualche giorno fa. Ora sappiamo, grazie a Mario Monti, che di strepitoso può esserci anche un insuccesso. E’ quello che ha appena conseguito proprio lui, Monti, schierandosi in una lunga intervista al Corriere della Sera sul fronte referendario del no alla riforma costituzionale e seminandovi il panico, anziché l’entusiasmo.

Nella redazione del giornale capofila del fronte referendario del no, che è naturalmente Il Fatto Quotidiano fondato da Antonio Padellaro e ora diretto da Marco Travaglio, si sono messe le mani nei capelli ed hanno affidato a Marco Palombi, nella rubrica dei “Rimasugli”, un disperato appello, per quanto sotto l’aspetto edulcorato di un “cortese invito”, al neofita dell’opposizione alla riforma di Renzi. Come se fosse un Berlusconi qualsiasi incautamente svegliatosi da un salutare “letargo”, anch’esso lamentato dai travaglini.

L’invito a Monti è stato, in particolare, “a chiudere la bocca per due mesi”, salvo proroghe imposte da un allungamento dei tempi referendari, visti i ricorsi e controricorsi in pendenza davanti a vari tribunali, anche dopo quello appena respinto dal Tar del Lazio, contro il decreto presidenziale che ha chiamato gli italiani alle urne per il 4 dicembre, e il quesito su cui dire sì o no. Un quesito non gradito a lor signori del no perché troppo invogliante a dire sì, visto che nel titolo della riforma approvata dalle Camere e sottoposta a verifica elettorale sono elencate sulle schede “le disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II° della Costituzione”.

Ad eccezione di quest’ultimo riferimento, ermetico ai non addetti ai lavori, per cui a molti non risulterà evidente il richiamo alla riforma delle competenze delle regioni, gli altri  sono – per lor signori del no, ripeto – maledettamente troppo chiari per gli elettori, ai quali andrebbero invece richiamati solo i numeri della cinquantina di articoli della Costituzione toccati dalle modifiche. Numeri, per carità, non parole.

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Già impopolare di suo per il ricordo lasciato ai contribuenti italiani dalla sua esperienza di presidente “tecnico” del Consiglio dei Ministri, chiamato d’urgenza nell’autunno del 2011 al capezzale dell’Italia, ma già allertato da mesi, e convinto di avere rimesso in piedi il Paese in poco più o poco meno di un anno e mezzo, Monti non si è ancora accorto che il malato è stato rimesso in piedi, come dice lui, ma non riesce a muoversi. O si muove con una tale lentezza, e fra tanti dolori, che spesso maledice il giorno in cui il medico non lo ha lasciato morire in pace.

Non solo non si è accorto di questa realtà, e non si chiede mai se per caso non ha sbagliato qualcosa nella terapia, potendo ciò accadere umanamente a qualsiasi medico, ma Monti continua a impartire lezioni senza risparmiarsi. Egli liquida come cattiva qualsiasi politica tenda al “consenso”: parola, per lui, quanto mai insidiosa, convinto com’è che il consenso evidentemente sia diabolico. Lo si persegue e raggiunge a costi troppo alti per la società. Che va invece abituata a vivere soffrendo, contorcendosi dai dolori, sino a stramazzare per amore, per carità, delle nuove generazioni.

Avrebbe obbedito a questo sciagurato obiettivo del consenso, fatto di mance e di debiti, anche lo sprovveduto e troppo giovane presidente del Consiglio in carica varando la sua riforma costituzionale, e pretendendo persino di vedersela approvare per continuare sulla sua strada.

Chissà come starà godendo Monti – mi viene maliziosamente da pensare – nel vedere in queste ore che Renzi, nonostante l’endorsement appena ricevuto negli Stati Uniti dal presidente per fortuna solo uscente Barack Obama, è costretto a fare e rifare i conti italiani con i commissari europei di Bruxelles e con i loro superiori, soprattutto quelli di Berlino, che l’ex presidente tecnico del Consiglio conosce bene, per avervi a lungo lavorato insieme ed averne apprezzato le doti. D’altronde, i giornali d’oltr’Alpe tre anni fa salutarono l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi, avvolto nel suo loden d’ordinanza, sottolineandone la statura fisica e morale di “genero ideale delle mamme tedesche”, pur con tutto il rispetto per la moglie italiana.

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L’impopolarità di Monti purtroppo è involontariamente assecondata dalla lettura della sua biografia sull’ormai consultatissima enciclopedia elettronica Wikipedia, a portata di tasto di ogni “webete”, come ci chiama spesso meritatamente il direttore del telegiornale de La 7.

Dal profilo telematico aggiornato alle ore 14,32 del 15 ottobre scorso non abbiamo solo conferma che a 73 anni, non molti di questi tempi, l’ex presidente del Consiglio è senatore a vita già da sei. E lo rimarrebbe, con tutti i relativi emolumenti, cumulati ad altri compensi o pensioni legittimamente maturate, per carità, anche nel caso in cui dovesse essere –secondo lui- disgraziatamente ratificata dagli elettori la riforma costituzionale di Renzi. Che prevede nel Senato ridotto a 95 fra consiglieri regionali e sindaci senza indennità, ma con immunità parlamentare, la permanenza dei senatori a vita in carica, sino alla morte, naturalmente il più lontano possibile.

Wikipedia informa anche che il professore di lungo corso ha denunciato nel 2010, ultimo anno di cui sono disponibili i dati, quando non ancora era quindi diventato senatore a vita, un reddito annuo di un milione 515 mila e 744 euro. E un patrimonio, fra depositi in conto corrente, titoli e gestioni patrimoniali, di 11 milioni 522 mila euro. Che sarebbero poco meno –se so fare ancora un po’ di conti, senza essere stato obnubilato dalle “mance” di Renzi, di 22 miliardi delle vecchie lire.

Riconosco che dall’alto di questi numeri, e delle sue competenze anche di tipo intellettuale, Monti può anche raccomandare agli altri, ma soprattutto per gli altri, una politica doverosamente e sanamente impopolare.

Questa volta mi fermo prima del solito perché stressato dalla mia modestia.

Mario Monti

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