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È appena uscito per le edizioni Rubbettino il bel saggio di Francesco Postorino – ricercatore giovane, sensibile e appassionato – su Carlo Antoni (“Carlo Antoni – Un filosofo liberista”). Effettivamente, è un lavoro di cui si sentiva la mancanza: se l’ostacolo linguistico (ahimé, l’italiano e i suoi limiti…) ha forse precluso un’adeguata conoscenza internazionale dell’opera di Antoni, appare invece inspiegabile una certa disattenzione o sottovalutazione da parte degli studiosi italiani.

Antoni appare come una figura del tutto peculiare: allievo di Croce, esponente del Partito Liberale (anche se poi approderà nel Partito Radicale di Mario Pannunzio), tra gli aderenti alla Mont Pélerin Society, quindi collocato su una linea liberista, eppure in cerca di un taglio non solo economico o economicista. Proprio questa nuance particolare lo porta a cercare una via “terza” nel confronto tra Croce e Einaudi: quella di un liberista memore del quadro spirituale crociano, e insieme attento alla sofferenza umana.

Postorino è a proprio agio sia nell’analisi politica di Antoni (ci verremo tra poco), sia nella non facile dimensione teoretica del suo pensiero. E proprio la parte filosofica del volume è tutta giocata sul rapporto tra Antoni e Croce, tra vicinanze e distanze, in una dialettica tra la spinta liberale di Antoni e l’approccio storicista di Croce. Antoni è mosso da una positiva tensione per l’individuo: e quindi diffida dell’esistenzialismo (che non lo soddisfa sul piano della ricerca di senso) e però non si accontenta neppure della dottrina crociana, che risente di un’impronta hegeliana tesa a “svalutare” in qualche modo l’individuo.

Anche sul piano politico, le differenze con Croce sono tutt’altro che irrilevanti. Per Croce (più “libertà che liberalismo”, annota Postorino), la storia è storia della libertà, come sappiamo: e né la storia né la libertà possono essere fermate, in ultima analisi, da “ricadute dittatoriali”. Di qui, ad esempio nella Storia d’Europa, le pagine crociane dedicate agli uomini e ai patrioti autori della liberazione dal giogo straniero. Antoni è meno ottimistico anche nel giudizio retrospettivo sul Risorgimento: l’Italia non è diventata “maggiorenne”, e resta la drammatica ipoteca rappresentata dall'”indifferenza” e dalla propensione al “particulare”.

Nasce proprio da qui – forse – l’opzione liberista di Antoni, che quindi differisce dall’approccio crociano, eppure si distingue anche dal liberismo einaudiano. Antoni avversa in modo tenace l’ideologia del welfare state, detesta l’idea di una tutela paternalistica sui cittadini: non è contrario per principio all’azione pubblica per fronteggiare le “sofferenze”, ma si rifiuta di vedere cittadini adulti trattati come “fanciulli”. E allora diventa cruciale il “limite”, il punto al di là del quale lo stato rischia di costruire “fanciulli di professione”. Ecco dunque la sfumatura peculiare di Antoni: un conto è la sensibilità sociale che deve essere propria anche della cultura liberale, altro conto sarebbe invece un errato approccio dirigista e paternalista.

Nell’analisi di Postorino, quindi, il liberalismo è per Antoni essenzialmente un metodo etico-politico volto a promuovere le energie morali di ciascun uomo. E, nelle conseguenze economiche di questo approccio (no al paternalismo, sì a un’attenzione sociale), Postorino coglie una vicinanza (nonostante il divario metodologico di fondo!) tra Antoni e le culture liberalsocialiste dei Rosselli, di Calogero, di De Ruggiero, di Omodeo.

Non è – per me di gusti più “einaudiani” – la nuance liberale preferita, ma ha una vera e piena originalità. E fa bene, anzi fa benissimo l’analisi acuta e appassionata di Postorino a illuminarne le caratteristiche peculiari e il messaggio anche per l’oggi, filosofico e politico.

Carlo Antoni e quella terza "nuance" tra Croce e Einaudi

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