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Il vertice di Bratislava sull’Europa ha aperto prospettive enormi, che Renzi sta cercando di approfondire. Esse vanno ben al di là dell’esito del referendum, e investono il destino futuro della posizione italiana in Europa. Vediamone gli aspetti economici, trascurando l’immigrazione.

Faccio riferimento all’intervista del 18 Settembre sul Corriere della Sera. Renzi in sostanza ha detto: a) per rilanciare gli investimenti occorre ricorrere al deficit pubblico. Lo dimostra l’esperienza spagnola, inglese, francese, e soprattutto quella americana; b) la posizione tedesca è falsamente forte, in quanto è sostenuta dall’enorme avanzo della bilancia commerciale, che eccede gravemente i limiti fissati a Maastricht.

Trattiamo entrambi i punti. Primo punto: debito pubblico È incredibile che tutti continuino a dire male del debito pubblico, quando esso è la vera fonte dello sviluppo. Lo aveva già parzialmente dimostrato Keynes. Ora si tratta di approfondire quella dimostrazione, non di tornare a prima di Keynes. L’unica possibilità di evitare le crisi di domanda è che la moneta sia espressa in termini di merci durevoli: solo così, infatti, l’accumulo di moneta dovuto alla crisi si tradurrebbe in occupazione, e la disoccupazione ridurrebbe. L’Ue, se vuole, può seguire questa rotta: sarebbe una continuazione, del resto, di quanto ha fatto finora con i prodotti agricoli. Il deficit pubblico è solo una via più diretta. Esso deve essere accompagnato dal tendenziale azzeramento, per via fiscale, dei saggi interesse, e dalle conseguenti riforme tributarie. Per questo ci vuole tempo, ed il coinvolgimento del G20. Nel frattempo, lo ribadiamo, l’Unione può dedicarsi all’acquisto di beni durevoli (case nuove, materie prime europee).

È ancora più grave il secondo punto, ovvero l’avanzo commerciale, che veleggia ormai sul 9% del Pil tedesco, quando dovrebbe essere al massimo al 6% (un massimo fissato assai generosamente). Innanzitutto Renzi ne parla esplicitamente per primo, mentre finora se ne parlava nei corridoi: ciò quando la regola è scritta a chiare lettere nel trattato di Maastricht. Inoltre, basta imporre alla Germania il 6%, per vederla precipitare in una crisi economica senza sbocchi. Infatti l’avanzo commerciale strutturale è uguale al deficit pubblico, anzi è peggiore. Ciò significa che è come se i tedeschi avessero un deficit dell’ordine del 10% annuo del loro Pil, superiore cioè al deficit degli Usa e dell’Inghilterra: nessuno ha osato finora parlare di questo.

Le due questioni sono fondamentali per rivedere il trattato di Maastricht, ed è importante che l’Italia le abbia poste per prima. Se insiste, essa smette di essere distruttiva, e pone problemi serissimi di riassetto dell’Unione Europea. Se la Germania continua a delegittimare gli altri paesi quando essa sta peggio, si può lasciare l’Unione Europea sulla base di idee forti, anziché come un fattore di sconfitta.

(Estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

Ecco come la Germania non rispetta gli accordi Ue

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