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Ho accolto con un senso di sollievo l’articolo di Marta Dassù sull’esistenza di un “trilemma inconciliabile” tra globalizzazione, democrazia e Stato-nazione, un argomento che ho trattato in un quadro più ampio nel libro “Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberal-democrazia” (Rubbettino 2016). Il lavoro, durato due anni, ha avuto una prima conclusione a Oxford, sotto la guida di Laurence Whitehead (che ha studiato 150 casi di processi di democratizzazione nel mondo), e una seconda fase, svolta in collaborazione con Giovanni Farese, in via di pubblicazione, che tratta in modo specifico il trilemma di Dani Rodrik al quale fa riferimento la Dassù.

Il problema è stato collocato in un quadro più ampio, quello delle relazioni che intercorrono tra democrazia, Stato e mercato quali garanti istituzionali del sistema delle libertà che si è andato formando negli ultimi due secoli: diritto alla vita, al libero pensiero e alla sua espressione, alla proprietà privata e all’eguaglianza sociale.

Il mio senso di sollievo nasce dalla costatazione che la crisi in essere e incipiente della cooperazione internazionale, e quella specifica dell’Unione Europea, viene finalmente esaminata in un quadro più ampio di quello angusto delle analisi riguardanti le carenze di leadership e i conflitti tra leader in competizione, nonché considerazioni miopi su qualche punto di pil e di occupazione in più o in meno, sul quale continuano a cimentarsi le migliori menti della politica e dell’economia. Il problema da comprendere per essere affrontato concerne le condizioni precarie in cui versa il sistema delle libertà, a causa del malfunzionamento delle democrazie, degli Stati e del mercato, con la complicazione che le libertà individuali possano subire un’ulteriore ferita per via degli sviluppi della finanza globale, dell’intelligenza artificiale e del terrorismo.

Con Farese sono convinto che occorre sconfiggere l’idea dell’inconciliabilità tra le tre basi istituzionali, ripristinando un equilibrio tra esse; siamo convinti che esiste la possibilità di farlo. Infatti l’inconciliabilità è institutional-set, fissata dalle istituzioni che sceglie la democrazia, non è un fatto di natura, come fa credere l’analisi di Rodrik. L’Unione europea ha deciso di privilegiare il mercato unico, rifiuta lo Stato unitario e mantiene in vita una democrazia priva delle sue proprie basi. E’ una scelta, non un frutto di natura. Lo stesso dicasi per la Cina che privilegia lo Stato, accetta il mercato e rifiuta la democrazia, almeno nella sua versione ortodossa. Il Regno Unito, con la Brexit, ha privilegiato la democrazia, rifiutato il mercato comune e confermato l’importanza dello Stato. Gli Stati Uniti sono il paese che ha cercato di contrastare l’inconciliabilità, ma la campagna elettorale in corso apre scenari preoccupanti da questo punto di vista.

Scartare una delle tre istituzioni in nome dell’inconciliabilità è una semplificazione pericolosa, frutto del combinato effetto di una diagnosi teorica debole, da parte dell’accademia, e di comportamenti pratici di élite che ambiscono a mantenere il potere, riducendo il peso della sovranità popolare e aumentando quello del mercato. Tutto ciò viene presentato in nome della governabilità, per perseguire migliori risultati economici (che non vengono) o per mere ambizioni politiche interne (prevalenti) o internazionali (di pochi e basati sulla forza militare). A tal fine si scarta o si indebolisce una delle tre istituzioni, cominciando non a caso dalla democrazia (verso cui si mostra insofferenza), rafforzando la posizione dello Stato (inteso come élite burocratico-politiche) e subendo la volontà del mercato globale (soprattutto nelle sue forme finanziarie). Si attribuisce al mercato il ruolo di nuovo legislatore sovrano “occulto” in sostituzione del sovrano collettivo.

Anche il prossimo referendum italiano ha questa matrice profonda, che però non emerge dal dibattito. Appare una lotta politica tra fazioni di partito, ma è una lotta politica seria i cui risultati comportano l’accettazione o il rifiuto di alcune componenti dell’inconciliabilità e la ricerca di un nuovo equilibrio tra le tre istituzioni poste a presidio delle libertà. Mi auguro che il dibattito aperto da Marta Dassù su La Stampa non perisca nella quotidianità.

savona

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