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Iniziata in realtà un anno fa di questa stagione, la campagna elettorale americana è alla vigilia della sua inaugurazione ufficiale, l’indomani del Labor Daye e la sera del primo dibattito fra i candidati alla Casa Bianca. Sono già pronti in realtà i pronostici, quasi unanimi per Hillary Clinton.

Uno dei motivi è che le voci di appoggio o rifiuto sono state finora pressoché unilaterali. Soprattutto per quanto riguarda i mass media, praticamente unanimi nell’appoggiare Hillary Clinton e dediti, quando citano Donald Trump, quasi solo a illustrarne le gaffe, le intemperanze, i «granelli di follia», il linguaggio «sporco», in una parola il pericolo che rappresenterebbe il suo ingresso alla Casa Bianca, anche per la pace nel mondo.

I due partiti classici che si contendono il potere in America e che fino all’estate scorsa si affrontavano con furia senza precedenti (i repubblicani sempre più a destra, i democratici sempre più a sinistra) adesso paiono riconciliati, concordi in una campagna elettorale contro Trump. Per gli amici della famiglia Clinton egli è un razzista reazionario e guerrafondaio.

I repubblicani, invece, non gli perdonano di essere candidato sotto il loro simbolo dell’elefante, di avere vinto la campagna delle primarie e di avere così distrutto – dicono – il loro partito.

Per leggere e ascoltare paroline dolci per lui bisogna sintonizzarsi sulla voce di Mosca, particolarmente su una televisione privata russa che ha la sua redazione a Washington.

Ma anche, per chi ne abbia il tempo e la voglia, gli interventi ufficiali o ufficiosi del Cremlino. È la voce di Putin, che risponde ai calorosi complimenti di Trump, ma soprattutto è l’espressione dei timori strategici della Russia. Il principale dei quali sono la strategia e le iniziative di Washington per un rafforzamento e un allargamento della Nato, la più potente e vittoriosa alleanza della Storia, lo strumento per il crollo del comunismo e la morte dell’Unione Sovietica e dunque anche del Patto di Varsavia, la «Nato rossa». Coloro che al Cremlino si erano rassegnati a distruggerla, da Gorbaciov a Eltsin, speravano o pensavano che l’Alleanza Atlantica ne avrebbe condiviso il destino.

Così non è stato. Anzi la Nato ha cominciato ad estendersi inglobando gli ex satelliti sovietici e anche alcune Repubbliche che, dell’Urss, avevano fatto parte. Questa diventò presto la principale preoccupazione di un acceso nazionalista russo come Putin, che cominciò a reagire con la forza quando la Georgia manifestò questa tentazione nel 2008, imitata più recentemente dall’Ucraina (che allora incorporava anche la Crimea). Gesti che da allora hanno fatto salire le tensioni Est-Ovest in forme che ricordano sempre di più la Guerra Fredda. Un «invito» che ha trovato un qualche successo negli ex satelliti, aumentando così le angustie del Cremlino.

Putin ha reagito nel modo tradizionale, irrobustendo la forza militare, ma è ben conscio che il suo Paese non dispone della forza economica e dunque generale per affrontare gli Stati Uniti da pari a pari, anche per la mobilitazione dei mass media Usa, simile a quella in atto contro il candidato Trump.

Dal Cremlino è partito dunque un programma di «media alternativi» all’establishment politico americano. Lo strumento principale è la televisione Rt, privata ma fedele alla linea governativa, costruita a Washington ma ispirata da Mosca al fine di «fornire una narrativa differente da quella dell’establishment» soprattutto attraverso la «informazione», la disseminazione di notizie più o meno veridiche, dirette sia al pubblico americano, sia a quello dei Paesi europei. Con qualche successo, per esempio nella Repubblica Ceca, i cui cittadini si stanno proiettando in maggioranza verso una diffidenza nei confronti dell’America.

Il bersaglio attuale è la Svezia, il più neutrale di tutti i Paesi europei al punto da tenersi fuori da due guerre mondiali e dalla Guerra Fredda, ma il cui governo è oggi tentato di accasarsi nella Nato. Per impedirlo, Mosca punta su notizie che urtino o allarmino l’atteggiamento storicamente tradizionale degli svedesi. È una formula collaterale che si combina però con la più diretta propaganda elettorale per Trump, considerato il nemico dell’establishment.

È un gioco dichiarato, annunciato fra gli altri dal principale anchorman di Rt, che ha ribadito di recente che «l’era del giornalismo neutrale è tramontata, nel nostro campo e in quello opposto». Perché è più efficace. Con un diverso vocabolario lo afferma anche il generale Valery Gerasimov, capo dello Stato maggiore delle forze armate russe: «Oggigiorno uccidere un soldato nemico costa molto di più che non nella Seconda guerra mondiale, nella Prima o nel medioevo». Anche la strategia della «persuasione» è più cara oggi, ma «se tu riesci a persuadere una persona non hai bisogno di ammazzarla». Una dichiarazione a suo modo umanitaria.

L’articolo di Alberto Pasolini Zanelli

Ecco come i media russi fanno propaganda pro Trump

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