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Nel 2014 il governo aveva chiesto il consenso delle venti Regioni su di un progetto di riforma del sistema dei servizi al mercato del lavoro che prevedeva l’accentramento della relativa competenza in una agenzia nazionale (l’Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro). La materia, a Costituzione invariata, è di competenza esclusiva delle Regioni stesse; ma il bilancio del loro operato nell’ultimo quindicennio, se si escludono tre o quattro Regioni, è talmente negativo, che il Governo aveva ritenuto indispensabile anticipare la riforma costituzionale e provvedere già in sede di legislazione ordinaria.

In Conferenza Stato-Regioni, queste ultime avevano dato (tutte!) il loro consenso: un po’ perché la prospettiva era che con la riforma costituzionale comunque all’accentramento si sarebbe dovuti arrivare, un po’ perché il bilancio complessivo del loro operato – con le eccezioni menzionate – era davvero indifendibile, un po’, infine, perché la stessa riforma prevede che l’esercizio della funzione possa essere delegato alle Regioni più capaci. Così si è arrivati al d.lgs. n. 150/2015, che ha istituito l’Anpal e il sistema di accreditamento centralizzato per gli operatori specializzati cui affidare i servizi di ricollocazione retribuiti a risultato, e ha previsto il monitoraggio centrale sulla coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di tutte le attività di formazione professionale, affidato a un Isfol ristrutturato. Tutte misure che tendono a superare un ritardo gravissimo del sistema dei nostri servizi al mercato del lavoro rispetto ai sistemi del centro e nord-Europa.

Ora l’esito del referendum – se le Regioni vorranno riappropriarsi delle competenze che il vecchio articolo 117 Cost. assegna loro – rischia di azzerare tutta questa parte del Jobs Act.

(Il commento di Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi Roma Tre)

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