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Due giorni fa è uscita un’inchiesta curata da BuzzFeed che riguarda il M5S e i collegamenti di siti e pagine sui social network inclini alla disinformazione tra la galassia grillina e l’enorme propaganda filo-russa spinta a livello globale. Dal blog di Beppe Grillo, organo da cui ufficialmente esce la linea politica grillina, i componenti parlamentari di Camera e Senato del Movimento hanno bollato l’inchiesta monstre di BuzzFedd come “una fake news”. Ironia della sorte, lo stesso giorno in cui BuzzFeed pubblicava il pezzo, il vice presidente della Camera e leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, affidava il suo pensiero sul referendum costituzionale di domenica 4 dicembre ad un’intervista a Ria Novosti, agenzia di stampa internazionale che lavora sotto la supervisione del ministero delle Comunicazioni di Mosca.

RUSSIAN-STYLE

Dunque, dalle connessioni tra post-verità e propaganda non è immune l’Italia. “Ciò a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio è uno straordinario sviluppo dei media che adottano, più o meno apertamente, l’approccio propagandistico governativo – commenta con Formiche.net l’analista Alessandro Pandolfi, specializzato in questioni militari e nell’area post-sovietica – e uno dei casi di maggiore successo è proprio quello russo, con la ricostruzione di una macchina dell’informazione per l’estero di prim’ordine”. La Russia, secondo Pandolfi, “si trova in un aperto e aspro confronto informativo e ideologico con l’Occidente, la cui copertura giornalistica si limita a letture negative circa la Federazione e che obbliga ad adottare varie forme di spinning dell’informazione, strumento cruciale per difendere gli interessi dello Stato. Questa lettura non è mia, ma emerge da documenti ufficiali come la ‘Doctrine of Information Security’ e si riscontra nella prassi e nel dibattito interno in materia di informazione”. Come ha sostenuto lo stesso presidente Vladimir Putin nel 2013, “il progetto RT’ è nato non solo per fornire una copertura imparziale degli eventi in Russia, ma anche per provare a rompere il monopolio anglo-sassone sui flussi informativi globali; una missione che, per sua stessa ammissione, sembra avere il successo sperato”.

NOI E LA POST-TRUTH

Si è molto parlato del fatto che siamo entrati nell’era della “Post-verità”, ossia nella fase in cui fatti oggettivi contano meno delle emozioni soggettive per formare le opinioni personali e pubbliche: è stato l’Oxford Dictionary a mettere l’accento definitivo in un situazione percepita, indicando “Post-Truth” parola dell’anno. “Quasi tutti i media però hanno analizzato il tema dal punto di vista del semplice rapporto tra opinione pubblica, informazione e veridicità delle notizie, quasi nessuno ha evidenziato i nessi con le attività di propaganda, anche estera”, spiega l’analista Pandolfi. Che significa? “Dal primo punto di vista si tratta di più di un semplice scontro tra notizie false e fact-checking: è una questione più ampia, dalla portata psicologica, sociale, filosofica. Circondarci da informazioni di nostro gradimento, anche se false, è attraente e conferma le nostre credenze. Questo fenomeno esiste da sempre ma, come ha evidenziato il professore Luciano  Floridi, docente di filosofia dell’informazione a Oxford, in passato semplicemente l’offerta di falsità non eguagliava la domanda mentre oggi i nuovi media soddisfano con facilità qualsiasi richiesta. Sono ora disponibili strumenti e contenuti che hanno non solo una portata enorme ma che permettono una personalizzazione della propria ‘bolla informativa’ a livelli inediti. Oggi c’è abbastanza misinformazione e disinformazione (rispettivamente informazioni erroneamente e volutamente incorrette/ingannevoli, ndr) per soddisfare ogni appetito. Bias cognitivi e bolle di filtraggio sono fenomeni noti e da tempo studiati da svariate discipline ma diventano problemi enormi nell’epoca in cui, per esempio, metà della popolazione statunitense dichiara di informarsi tramite i social network. Disinformazione e bufale sono sempre esistite. Oggi Internet permette da un lato di accorgercene con maggiore facilità, ma dall’altro anche di amplificarle a dismisura, un paradosso inedito”. Un esempio, a metà ottobre Vice News ha pubblicato un articolo in cui il giornalista Mattia Salvia raccontava un suo esperimento: ha trascorso una settimana informandosi esclusivamente attraverso pagine Facebook collegate al mondo del Movimento 5 Stelle. Salvia sintetizzava l’esperienza così: se ci stai dentro finisce per condividere per forza “le fondamenta su cui si basa la loro visione”, c’è “una logica da culto” che raggiunge una “massa critica molto ampi”: “E in più c’è una sorta di normalizzazione del clickbait, della condivisione ossessiva, del sensazionalismo: tutto questo ti cade addosso da ogni lato e finisce per sembrarti assolutamente normale”.

POST-TRUTH E PROPAGANDA

“Occorre però non trascurare un secondo aspetto, la connessione di questi temi con gli effetti della propaganda, un aspetto per lungo tempo trascurato” continua Pandolfi. “Già nel 2008 uno studio del Reuters Institute for the Study of Journalism aveva analizzato il fenomeno dei media ‘contro-egemonici’, creati appositamente per sfidare l’approccio BBC/CNN. Reti quali Russia Today (oggi RT), la venezuelana Telesur o l’iraniana Press-TV sono state generosamente finanziate per contrapporsi alla presunta egemonia occidentale della narrazione degli eventi. Come evidenziava l’autore, i grandi media internazionali e i big nazionali (come Deutsche Welle, France24 e BBC World Service) aderiscono ai principi di imparzialità e adottano elevati standard giornalistici, non percependosi come una voce di Stato; i media anti-egemonici al contrario sono tutti strettamente controllati dai governi e vedono questi principi come una maschera per il potere occidentale e cercano di controbilanciare la situazione”.

(la seconda parte dell’articolo sarà pubblicata nei prossimi giorni)

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