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Accomunati da tempo da una specie di ossessione contro Matteo Renzi e dalla smania di vederlo tornare a casa, il Giornale della famiglia Berlusconi e il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio hanno accolto con la stessa delusione, e preoccupazione, l’annuncio appena dato dal presidente del Consiglio, in vista del vertice europeo nelle acque di Ventotene con la cancelliera tedesca e il presidente francese, che in Italia si voterà nel 2018. “Comunque vada” -ha detto- il referendum costituzionale confermativo previsto a fine novembre.

“Renzi non molla. Vuole rimanere fino al 2018”, ha titolato sconsolatamente il Giornale avendo capito che Renzi naturalmente punta ad arrivare lui stesso alla guida del governo sino a quella data, anche nel caso in cui dovesse perdere la partita del referendum e presentare le dimissioni al presidente della Repubblica per salvare la faccia, visti gli annunci iniziali. Egli è sicuro evidentemente che dal Quirinale sarebbe rimandato alle Camere per verificare la sua maggioranza. Alla quale francamente non si vede alternativa se non quel “governo Pulcinella”, come lo ha appena definito lo stesso Renzi, composto o sostenuto “da Travaglio più Berlusconi più Salvini più D’Alema”.

“Renzi non si dimette più”, ha titolato il Fatto Quotidiano parlando di una “ritirata” ormai completa del presidente del Consiglio e segretario del Pd, d’altronde invitato a rimanere al suo posto, in caso di sconfitta referendaria, anche da ciò che resta delle minoranze peraltro divise del suo partito. Cui non a caso sia Travaglio sia D’Alema rimproverano ogni volta che possono mancanza di coraggio e di chiarezza nei quotidiani scontri che pure hanno, sui più vari argomenti, col segretario del partito. Esse sono divise, peraltro, anche nell’individuazione di un candidato da contrapporre a Renzi al prossimo congresso, anticipato o ordinario che sia, ma probabilmente più ordinario, ormai, che anticipato, visto che il presidente del Consiglio ha appena detto che esso “si svolgerà quando previsto”. E lo ha detto criticando la smania di D’Alema di “tornare in Parlamento” e di riottenere nel partito un ruolo.

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Il Giornale e il Fatto Quotidiano si sono ritrovati insieme, come se si scambiassero curiosamente le notizie, alla maniera in cui i giornali anticraxiani negli anni di Mani pulite si scambiavano informazioni e titoli maneggiando le notizie che apprendevano senza molta fatica nella Procura di Milano, nell’indicare la stessa origine o causa della “ritirata” o svolta di Renzi sulla strada del referendum costituzionale: la Repubblica edita ora da Carlo De Benedetti e fondata ormai più di 40 anni fa da Eugenio Scalfari, che continua ad esserne l’ispiratore per ammissione dello stesso nuovo direttore Mario Calabresi. Il quale, appena nominato fra le pubbliche doglianze del fondatore tenuto all’oscuro della questione, si precipitò a casa di “Barpapà” per completare le scuse già presentategli, con lo stesso rito, dall’editore e per chiedergli di non rinunciare ai suoi appuntamenti festivi e feriali con i lettori perché essi sarebbero serviti anche a lui, alla guida della testata, per orientarsi.

Ebbene, secondo il Giornale Renzi avrebbe dato l’annuncio di rimanere, o comunque di far durare la legislatura sino al 2018, per gonfiare orgogliosamente i muscoli, diciamo così, a Ventotene dopo che Carlo De Benedetti in una intervista ad un giornale straniero ne aveva un po’ sminuito la figura dicendo che oggi in Europa c’è solo un leader, anzi una leader: la cancelliera tedesca Angela Merkel.

De Benedetti doveva essere rimasto forse male sentendosi definire da Renzi qualche tempo fa un “cittadino privato” dopo un’intervista al Corriere della Sera in cui l’editore di Repubblica lo aveva avvertito che senza una modifica preventiva della nuova legge elettorale della Camera, chiamata Italicum, egli avrebbe votato no alla riforma costituzionale nel referendum d’autunno. Ma Renzi – si è capito – di questo problema non intende occuparsi davvero, al di là di una generica disponibilità ad esaminare proposte altrui verificandone la praticabilità parlamentare, almeno prima di ottobre, quando la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi proprio sull’Italicum.

Secondo il Fatto, invece, Renzi si sarebbe sentito incoraggiato all’annuncio di andare avanti sino al 2018 da Eugenio Scalfari in persona in una telefonata fattagli qualche giorno fa. E della quale lo stesso Scalfari, compiaciuto di dividersi spesso fra una chiamata telefonica di Papa Francesco e una di Renzi, ha riferito ai lettori nell’ultimo intervento domenicale per sottolineare il ruolo crescente che il presidente del Consiglio sta esercitando in Europa.

D’altronde, anche se il Fatto non lo ha scritto, mi risulta da buona fonte che questa storia del vertice nelle acque di Ventotene sia venuta in testa a Renzi parlando proprio con Scalfari qualche mese fa, o leggendone l’invito a ispirarsi appunto a Ventotene, e agli europeisti che vi soggiornarono durante il fascismo, nella gestione degli affari dell’Unione.

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Anche Scalfari, a dire la verità, aveva posto al presidente del Consiglio, come il suo editore, il problema della revisione della legge elettorale della Camera come condizione per votare sì, nel referendum, ad una riforma costituzionale che pure ritiene un po’ troppo pasticciata, ma sempre meglio di niente. Gliel’aveva detto direttamente e pubblicamente in un incontro alla festa ormai annuale delle “idee” della sua Repubblica.

Egli si era poi compiaciuto di avere saputo da fonte autorevole, ma necessariamente coperta, che da lì a qualche settimana Renzi avrebbe preso l’iniziativa o si sarebbe reso disponibile ad una modifica “radicale” dell’Italicum.

Dev’essere poi intervenuto fra lui e il presidente del Consiglio qualche chiarimento sui tempi e sulle circostanze di una revisione della legge elettorale se il fondatore di Repubblica si è speso a spiegare ai lettori l’importanza di una data: martedì 4 ottobre. Che non sarà soltanto la festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e nome assunto dall’amico Papa Bergoglio salendo al sacro soglio, ma il giorno dell’udienza annunciata dalla Corte Costituzionale per affrontare il nodo dell’Italicum.

Chiaro, no? O quasi. Magari, la cancelliera Merkel e il presidente francese François Hollande ne sapranno qualcosa di più, anche di Scalfari, dopo il vertice nelle acque di Ventotene, dove Renzi non si lascerà scappare l’occasione per insistere sulla “flessibilità” di cui ha bisogno nella preparazione della nuova legge di stabilità, ex finanziaria, perché il ritorno alla crescita in Italia, come ha appena detto in pubblico, “è questione di tempo e di fiducia”.

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