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A un anno esatto dalla risoluzione delle quattro banche (Marche, Etruria, Chieti, Ferrara) si sta completando la cessione delle good bank nate dalle procedure di allora. Tre delle quattro (Marche, Etruria, Chieti) finiranno salvo sorprese a Ubi Banca, in un’operazione che coinvolgerà anche Atlante e il Fondo di risoluzione.

Si attende per giovedì un via libera informale da parte del Consiglio di vigilanza della Bce. Secondo lo schema allo studio, Atlante 2 dovrebbe rilevare circa due terzi dei crediti deteriorati lordi delle tre banche, che ammontano in tutto a 3,7 miliardi (mentre circa 500 sono relative a Ferrara). Il fondo gestito da Quaestio dovrebbe però raccogliere nuove risorse, considerando che quelle attuali sono quasi interamente impegnate sul fronte Mps. Perciò il closing della vendita delle tre banche dovrebbe arrivare nel primo trimestre del 2017. Prima della cessione interverrà negli istituti anche il Fondo di risoluzione (alimentato con denaro che tutte le banche italiane sono obbligate a versare) con un’iniezione di capitale, che ha anche l’obiettivo di agevolare la successiva dismissione dei crediti deteriorati (il tasso di copertura delle good bank è oggi al 47 per cento per i crediti deteriorati e al 30 per cento per le inadempienze probabili).

Questa ulteriore pulizia del bilancio aprirebbe la strada a Ubi, che dovrebbe a sua volta varare un aumento di capitale attorno ai 400 milioni di euro. L’importo finale sarà legato anche alle questioni contabili e prudenziali, che sembrano però vicine a una soluzione positiva. Si va insomma verso il riconoscimento dei crediti fiscali e del badwill di circa 1 miliardo. Anche il problema dell’impiego dei modelli interni avanzati di Ubi agli istituti acquisiti sembra superato. In ogni caso la parola finale spetterà alla Bce.

Per quanto riguarda Carife, l’opzione più probabile è un intervento ponte del fondo volontario all’interno del Fondo interbancario (Fitd) finalizzato all’ingresso di un partner bancario. I tavoli sono aperti con Cariparma (che potrebbe rilevare anche la Cassa di Cesena e quella di Rimini) e Bper.

Nell’ultimo anno i quattro istituti presieduti da Roberto Nicastro hanno concesso 1 miliardo di nuovi mutui, 1,5 miliardi di nuovi fidi e hanno rinnovato 8,5 miliardi di fidi in territori che hanno in molti casi dovuto affrontare le conseguenze dei terremoti. Sul piano industriale è prevista la chiusura di altri 50 sportelli e l’uscita di 300 dipendenti entro fine anno.

La vicenda delle banche in risoluzione si avvia così verso la conclusione, anche se altri passi importanti restano da completare. Di certo per le good bank è stato un anno tormentato. La direzione concorrenza della Commissione Ue ha richiesto la loro cessione entro lo scorso 30 aprile, concedendo la proroga soltanto il 29 aprile. Una situazione che ha diffuso timori tra i clienti e che non ha consentito una riorganizzazione di più ampio respiro. Il nuovo termine, quello del 30 settembre, è stato ulteriormente spostato (sempre in extremis), senza una scadenza precisa.

Le decisioni di Bruxelles sono state poco trasparenti, considerando anche che la direttiva Ue, come ha ricordato il presidente Abi Antonio Patuelli, prevede un termine di due anni per le cessioni (quindi fino a novembre 2017). Altri dubbi sull’azione Ue hanno riguardato la svalutazione delle sofferenze al 17% del valore nominale (in altri casi simili non c’è stata neppure una comunizione al pubblico della percentuale). Il tutto si è poi mescolato con le richieste della Vigilanza Bce, a volte più attente alla forma che alla sostanza, e in contraddizione con i tempi stretti richiesti da Bruxelles.

Per molti aspetti l’applicazione delle nuove regole Ue è stata così un problema aggiuntivo che ha complicato il recupero di banche finite in dissesto per le cattive gestioni passate. E che un anno fa ha scatenato il panico per le prime perdite ai risparmiatori privati che detenevano bond subordinati delle quattro banche.

(Articolo pubblicato su MF, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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