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La recente raccomandazione del presidente Sergio Mattarella di andare a votare alle elezioni europee di giugno è cruciale. Ci ricorda un fondamentale diritto di cui alcuni Paesi sono privi.

Ciò detto ormai da oltre dieci anni, un periodo molto lungo, circa il 50% degli italiani non votano. Quali che siano le ragioni, questa è la scelta. Tanti altri poi votano con sempre meno convinzione. È una maggioranza contro tutti i partiti in parlamento.

I motivi sono facili: gli elettori non vanno alle urne perché non sono interessati, pensano che la loro scelta non conti, perché non si sentono attirati dai candidati. Se abbiamo fame mangiamo, ma se il cibo pensiamo sia avvelenato, per quanta fame abbiamo, non mangiamo.

Al di là dei giusti inviti a votare c’è ormai un vecchio problema di offerta politica che non è stato risolto. Gli M5S nascono vedendo questa pochezza di offerta politica, quindi cercarono di cambiare le cose. Poi la loro proposta è stata uguale o peggiore rispetto a quella degli altri partiti. La loro presenza ha quindi aumentato la deriva del non voto.

Da qui si arriva agli estremi. In Basilicata quasi il 70% degli aventi diritto hanno disertato le urne. Dovrebbe indurre una rivoluzione nei partiti, un mea culpa. Dovrebbe spingere forse a un referendum contro il sistema. Se i partiti non rispondono direttamente o indirettamente alla manifestazione dei votanti, distruggono la democrazia. Le istituzioni sono peraltro già zoppe.

Oltre al non voto l’Italia ha la crisi del sistema giudiziario, una delle tre branche della divisione dei poteri. I magistrati sono al centro di controversie delegittimanti da tre decenni, che non si sono risolte “mettendo la museruola ai giudici” o con “i giudici che hanno cambiato la politica”. Il massiccio assenteismo delegittima le altre due branche del sistema democratico, il parlamento e il governo. Lo scontro sul sistema giudiziario ha poi fiaccato anche la burocrazia, le imprese e tutto il tessuto amministrativo, produttivo e sociale.

Infine, ci sono proposte di legge molto divisive. C’è l’autonomia differenziata che fomenta e aizza una deriva particolaristica già presente in Italia. C’è la riforma costituzionale sul premierato, che dà tutto il potere al premier.

In linea di principio possono essere idee anche ragionevoli, ma deve esserci un largo consenso. Il parlamento non è rappresentativo per le percentuali di voto, si deve quindi cercare consenso della nazione. Non può approvarle una maggioranza che rappresenta forse il 20% della popolazione.

Ciò mostra poi che il parlamento si sta estraniando, allontanando dal Paese, e si costituisce una specie di strampalato governicchio non indicativo. È una nuova forma di autoritarismo non autorevole. Per il suo distacco dagli interessi nazionali è una cosa nuova e molto pericolosa.

È peggio se si proietta questa situazione in un contesto più ampio. Ci sono due guerre aperte, una in Ucraina e l’altra a Gaza. Una tensione si allarga dall’est Europa al Medio Oriente. Ci sono pericoli che si stanno espandendo intorno alla Cina, per conflitti commerciali con gli Stati Uniti e frizioni tra Cina e alcuni vicini, come l’India, le Filippine. Poi c’è Taiwan e la Nord Corea.
Tutti problemi forse più vicini a noi di quanto non fosse la minaccia sovietica durante la guerra fredda. Su tutto questo il governo italiano sta avendo una posizione equilibrata ma non basta.

Il parlamento, la coscienza nazionale deve prepararsi al futuro e capire cosa fare e come farlo. Se ci sono tutti questi focolai che si allargano cosa deve esserne dell’esercito italiano, cosa deve essere dell’ordine pubblico? Perché le questioni di difesa hanno poi ricadute sull’ordine pubblico e da qui alla società e la spesa economica.

Solo un paio di anni fa l’Italia celebrava di aver ricevuto 200 miliardi di aiuti dalla Ue, ora si scopre che ne sono stati spesi forse di più in cose sostanzialmente sciocche, o sono stati sprecati. C’è da pensare cosa fare dell’economia italiana, perché la difficoltà annosa del debito pubblico, tanto più urgente oggi perché senza soldi non si fa niente, non è più unica.

È una vera spirale infernale in cui un problema tira l’altro con alla base l’insoddisfazione rispetto all’offerta politica. Quindi oggi come non mai non votare è scelta politica attiva. Significa positivamente dire “sono stufo di questa offerta di partiti”.

La risposta non può essere “facciamo la dittatura”. La dittatura specialmente in questo caso, allargherebbe e confermerebbe il sentimento di tradimento percepito da oltre metà del Paese.

Le dittature arrivano al potere a cavallo di un entusiasmo, un moto di popolo. Prendono il controllo e poi chiudono tutto. Questa oggi sarebbe una dittatura per stizza, incapacità, depressione psicologica. Rischierebbe di finire in uno sfascio o una carneficina.

Semplicemente l’offerta politica deve diventare adeguata, altrimenti il Paese si scioglie come si sta sciogliendo. E come sempre nella storia quando un Paese si scioglie qualche entità esterna ne prende il controllo. Possono essere i libici di Haftar o qualcun altro.
Comprensibile come molti politici attuali pensino che questi problemi siano in realtà distanti: io ora devo mantenere il mio potere, il mio cortiletto.

Però così si distrugge non solo il proprio cortiletto ma tutto il Paese e alla fine nessuno si salva. È il momento di pensare a sé stessi, anche per le persone al potere, perché il loro rischio è enorme.

Come nota l’ultimo editoriale dell’Economist qualunque democrazia non è retta dall’inchiostro delle lettere della legge ma dai valori dei cittadini, dei giudici, dei funzionari pubblici. Qui si è ben al di là del “tappiamoci il naso” con cui 50 anni fa Montanelli invitava a scegliere DC nonostante tutto. Allora comunque la gente votava. Serve una nuova coscienza sociale, fatta di valori non di destra o sinistra ma nazionali. Di questo oggi c’è solo una rappresentazione – il Presidente della Repubblica.

Quindi una nota di ottimismo: per fortuna c’è un Presidente come Mattarella che ha ben presente le questioni e ha lanciato un allarme sull’assenza della politica. Però non può essere lui da solo ad invertire la tendenza.

(L’articolo nasce grazie a una conversazione con Geppi Rippa)

Un problema tira l'altro. Cosa c'è dietro il non voto degli italiani secondo Sisci

Oggi come non mai non votare è scelta politica attiva. Significa positivamente dire “sono stufo di questa offerta di partiti”. Ma l’offerta politica deve diventare adeguata, altrimenti il Paese si scioglie. Serve una nuova coscienza sociale, fatta di valori non di destra o sinistra ma nazionali. E di questo oggi c’è solo una rappresentazione, il Presidente della Repubblica. Il commento di Francesco Sisci

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