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Ancora una volta, come accade sempre più spesso nelle vicende della politica italiana, anche ai livelli che dovrebbero essere considerati più alti e prestigiosi, si deve registrare qualcosa di incredibile ma vero.

Mentre il Paese, pur sollevato dall’assenza, almeno sinora, di nuovi morti dopo quelli della scorsa estate, assiste col fiato sospeso a questo “sisma continuo” – lasciatemelo definire così – che ha ulteriormente colpito nelle ultime 24 ore 200 Comuni del Centro Italia e 5000 monumenti, e allontanato dalle loro case 40 mila sfollati destinati probabilmente a diventare addirittura 100 mila, il senatore a vita ed ex presidente del Consiglio Mario Monti non ha trovato di meglio da fare che scrivere una lunga lettera al Corriere della Sera per ribadire il suo no referendario alla riforma costituzionale. E per ripetere al presidente del Consiglio Matteo Renzi, ma anche al pur “solido e saggio” ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, l’accusa di creare anche col ricorso ad una maggiore spesa pubblica “un clima di consenso inteso a favorire il sì al referendum” del 4 dicembre.

Le circostanze, con il cosiddetto combinato disposto – lasciatemi dire pure questo – fra i tempi dell’invito del Corriere a scrivere, di Mario Monti a rispondere e del Corriere, di nuovo, a pubblicare, peraltro con tanto di richiamo in una prima pagina dominata dalle foto e dalle notizie del disastro sismico in corso, consentono purtroppo di sospettare che il senatore a vita abbia voluto inserire fra le spese destinate “a favorire il sì al referendum” pure quelle nuove che Renzi ha appena disposto e annunciato. Anche a costo –ha avvertito il capo del governo- di sorprendere i commissari europei di Bruxelles con un deficit nel bilancio italiano del 2017 superiore a quello su cui i signori o padroni dell’Unione Europea hanno già storto il muso, chiesto e ottenuto chiarimenti.

Non so francamente, con l’esperienza di un ormai vecchio giornalista appartenente con orgoglio all’Associazione della Stampa Parlamentare, ed ancora impegnato a seguire la politica, che non scambio, come Ciriaco De Mita, con la troppo astratta “scienza dell’organizzazione dello Stato”, se sia stato più curioso nel bel mezzo di quel che sta accadendo su una terra che trema, l’invito del Corriere a Monti – come già ricordato – a tornare sull’argomento del referendum costituzionale, la tempestiva risposta dell’interessato e la sua altrettanto tempestiva pubblicazione, senza un attimo di esitazione, senza lo scrupolo di un rinvio, senza il timore di buttare benzina sul fuoco mentre altro fuoco, sia pure metaforicamente, arde in questo sventurato Paese.

Sarò troppo vecchio, avrò diretto redazioni e giornali troppo modesti, o troppo poco alla moda ai loro tempi, anche se non ne avevo francamente l’impressione, ma non capisco, e comunque non condivido questo nuovo modo di fare politica da una parte e giornalismo dall’altra. Nè intendo farmene, come si dice, una ragione. E se con questo metto in imbarazzo il buon amico e infaticabile direttore di Formiche.net, Michele Arnese, gli chiedo vivamente scusa.

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Fra l’altro, oltre a riproporre i già noti argomenti contro mance, spese e quant’altro cui il presidente del Consiglio avrebbe l’abitudine di ricorrere per procurare consensi alla sua riforma, e a lamentarne i “toni sprezzanti nei confronti dei suoi avversari politici” e, più in generale, di “chi si sforza di ragionare con la propria testa”, Monti ha definito la riforma costituzionale sotto procedura referendaria “un salto nel buio”. Essa segnerebbe il passaggio da “un bicameralismo paritario” ad un “bicameralismo temerario”, con tanto di riproduzione del significato di questo aggettivo da un dizionario a sua disposizione che non menziono perché non mi va di fargli della pubblicità. E che comunque corrisponde all’incirca a quello mio, che non cito per lo stesso motivo ma di cui riproduco la voce temerario: “Che non valuta il rischio evidente di un atteggiamento, o in un comportamento, per incoscienza o per sprezzo del pericolo”.

Fra gli altri torti del bicameralismo “temerario” avvertito o denunciato da Monti vi sarebbe quello di premiare, nella nuova composizione del Senato, una classe politica come quella regionale, non apprezzabile, diciamo così, per competenza, efficienza e moralità.

Non vorrei assurgermi a difensore di questa “casta” regionale, come la chiamano i miei amici, in ordine rigorosamente alfabetico, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, anch’essi del Corriere della Sera, ma temo che Monti, al pari di tanti altri lettori di giornali, abbia l’abitudine di ricordare solo le notizie degli avvisi di garanzia, degli arresti e dei rinvii a giudizio, dando occhiate troppo superficiali o ignorando, nel classico e deprecabile stile giustizialista che ha fatto le fortune dei grillini e loro predecessori o emuli, le notizie delle assoluzioni o delle archiviazioni, spesso senza neppure lo straccio di un rinvio a giudizio.

E’ una grave abitudine, questa del giustizialismo, per chi è stato capo del governo ed è senatore a vita. Un senatore, peraltro, che anche contro la sua volontà, espressa in un disegno di legge da lui citato ma finito in polvere, continuerà a prendere la sua indennità, come gli ex capi dello Stato e perciò senatori di diritto, nella nuova e pur declassata assemblea di Palazzo Madama composto da un centinaio di sindaci e consiglieri regionali senza compenso. Un inconveniente al quale, naturalmente, egli potrebbe ovviare rinunciandovi. E sarei il primo a rendergliene doverosamente e sinceramente atto.

Da questa e da altre incongruenze del nuovo Senato, a proposito del quale Monti non si è ancora accorto dell’impegno assunto da Renzi con la minoranza del suo partito di introdurre nell’apposita e futura legge ordinaria il sistema della doppia scheda, facendo eleggere dai cittadini contemporaneamente i consiglieri regionali e quali di loro destinati ad andare a Palazzo Madama; da questa e da altre incongruenze del nuovo Senato, dicevo, si potrebbe uscire più facilmente migliorando la riforma dopo la ratifica referendaria che buttandola al macero con tutti gli altri contenuti.

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Onestà vuole che si debba anche riconoscere all’ex presidente del Consiglio di avere voluto distinguersi, nella sua pur infelice lettera al Corriere della Sera, da altri sostenitori del no referendario riconoscendo che la ratifica della riforma “non metterebbe a rischio la democrazia” per la presunta o reale vocazione di Renzi all’oligarchia, all’autoritarismo e a quant’altro. In più, Monti ha voluto precisare – forse non accorgendosi di potersi ritrovare una volta tanto in sintonia con Silvio Berlusconi, viste le opinioni attribuite all’ex Cavaliere da molti giornali, senza smentite, dopo il suo recente incontro col presidente della Repubblica, fra i mal di pancia di Renato Brunetta e le proteste dei vari Matteo Salvini e Giorgia  Meloni – di non volere la crisi di governo dopo un’eventuale sconfitta referendaria sulla riforma costituzionale.

Ma a questo punto, scusatemi, tutto il resto del discorso o ragionamento di Monti diventa inspiegabile, con l’aggravante già lamentata delle circostanze sismiche nelle quali ci troviamo. Qui trema la terra, ma anche la testa.

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