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Una comunicazione della Commissione Europea ai capi di Stato e di governo sulle politiche di difesa commerciale che Formiche.net è in grado di fornire integralmente (qui l’allegato) ha riacceso la polemica sul riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina, con strascichi che arriveranno certamente a fine dicembre quando il dado dovrà necessariamente essere tratto.

LE PAROLE DI KATAINEN

Con l’idea di “aggiornare le regole di difesa da pratiche commerciali sleali, così da proteggere posti di lavoro, industrie e modernizzare il tessuto economico dell’Ue”, la comunicazione sul commercio adottata dal collegio dei commissari ha infiammato gli animi di chi continua a sostenere che non bisogna abbassare la guardia di fronte all’egemonia di Pechino, la cui economia continua a crescere (questo anno +6,7% per il Fmi), ma spesso grazie a politiche di dumping e di concorrenza sleale. Non sono neanche bastate le parole del commissario Jyrki Katainen per la crescita e gli investimenti a raffreddare gli animi: “Il nostro obiettivo è difendere i lavoratori da pratiche di riduzione artificiale dei prezzi dei prodotti industriale”, solo che per farlo bisogna rivedere le misure anti dumping che fino ad oggi sono state applicate dall’Unione in difesa delle sue imprese. Apriti cielo, per le maggiori organizzazioni confindustriali europee è come abbassare il ponte levatoio e permettere quell’invasione di prodotti a basso costo che finiscono per drogare il mercato e danneggiare definitivamente le nostre aziende.

LE CRITICHE DI CONFINDUSTRIA

Durissima è stata la reazione di Confindustria, con la sua vice presidente Lisa Ferrarini: “Riaprendo la riforma dell’antidumping del 2013 la Commissione Europea ne ha inserito alcune parti nel delicato dossier del riconoscimento della Cina come economia di mercato. I due temi non andrebbero mischiati: hanno storie separate, basi giuridiche diverse, obiettivi differenti. Il mix fatto non ha senso e va solo a discapito delle imprese”. E ancora: “La Commissione Ue non può ammettere che sta di fatto concedendo il Mes alla Cina ed è talmente a corto di idee che pensa di farlo con un maquillage. La proposta legislativa che sarà adottata nelle prossime settimane si annuncia profondamente sbagliata. La Commissione sembra ignorare alcune disposizioni importantissime del protocollo di adesione della Cina alla Wto che sanciscono chiaramente come il dumping cinese deve essere trattato con una metodologia a parte, perché originario di un sistema che non è di mercato”. 

I CRITERI CONTESTATI

Il riferimento è infatti ai cinque criteri macroeconomici serviti fino ad oggi per stabilire se un’economia può considerarsi di mercato. Innanzitutto, non avere significative interferenze statali nelle decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi. In secondo luogo, sottoporre le imprese a revisione contabile indipendente, seguendo i criteri di contabilità internazionali. Poi, fare sì che i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo, comprese le svalutazioni degli attivi ed i pagamenti con compensazione dei debiti. Inoltre, lo Stato deve garantire certezza del diritto in materia fallimentare e di proprietà delle imprese. E infine, l’ultima condizione è la liberalizzazione dei tassi di cambio. Di queste prerogative forse solo la prima può dirsi compiuta.

LA POSIZIONE DEL GOVERNO

D’altra parte la posizione del governo italiano sul tema è stata da sempre chiara con il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda che l’ha ribadita qualche settimana fa al Consiglio competitività svoltosi a Bruxelles: “Siamo assolutamente contrari. Riteniamo che sia un rischio enorme che l’Europa si prenderebbe. Anche mitigato, anche provando a mantenere gli strumenti di politica commerciale, il problema è che è plausibile che la Cina ci porti davanti all’Organizzazione mondiale del commercio, quindi non bisogna fare cose che pregiudichino la nostra posizione negoziale. Sappiamo che la Cina non è un’economia di mercato e questo lo dice anche la Commissione”.

IMPRESE IN FERMENTO

Ma in campo in queste ore stanno scendendo un po’ tutte le organizzazioni capeggiate da Aegis, l’associazione che rappresenta oltre trenta settori industriali europei è critico. Il suo portavoce Milan Nitzschke è categorico: “Un sistema di difesa commerciale forte è fondamentale per il futuro dell’industria manifatturiera europea, che ogni giorno per produzione e posti di lavoro a vantaggio della Cina. Quando i ricorsi sono esaminati dalla Commissione, è essenziale per la Cina continuare ad avere l’onere della prova che opera in un contesto di economia di mercato invece di costringere le piccole e medie imprese europee a dimostrare che in Cina ci sono delle distorsioni”.

CHI PROTESTA

A nulla sembra essere bastata una lettera mandata appena poche ore prima del Consiglio dei capi di Stato e di governo di 58 top manager europei dei maggiori gruppi siderurgici in cui si chiedeva esplicitamente di non fare passi azzardati e che i dazi anti dumping sono attualmente le sole difese, spesso armi spuntate, con cui fronteggiare la spavalderia cinese. Fra i firmatari Andreas Goss amministratore delegato di ThyssenKrupp, Claudio Riva, numero uno di Riva Forni Elettrici, Hans Fischer, responsabile di Tata Steeel Europe, Antonio Gozzi a nome di Duferco e Federacciai, Giovanni Arvedi, numero uno dell’omonima Acciaieria, Piero Gnudi commissario dell’Ilva, Roeland Baan presidente di Outukumpu, Michele Della Briotta responsabile europeo di Tenaris e Geert Van Poelvoorde a nome dell’European Steel Association.

I NUMERI CHE PREOCCUPANO

Tutti ricordano alla Commissione Europea che la sola sovraccapacità siderurgica cinese è stimata in 350 milioni di tonnellate, pari cioè a quasi il doppio della capacità produttiva annua di tutta l’Unione europea. Un’inondazione del mercato che ha prodotto un crollo dei prezzi anche fino al 40%. Così come è stato ricordato anche il voto contrario del Parlamento europeo alla concessione del Mes alla Cina.

LO SCENARIO

Appare evidente che per mantenere le buone relazioni commerciali con Pechino, il governo europeo nell’estremo tentativo di mediazione stia producendo più danni che vantaggi per le sue aziende, assai lontana dal no secco che l’amministrazione americana, ad esempio, ha dato sulla questione. “Non riconosceremo mai alla Cina lo status di economia di mercato – ha spiegato Mike Froman, il rappresentante della politica commerciale – perché significherebbe ‘disarmare unilateralmente’ le nostre difese commerciale”. Punto e basta.

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