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Il voto referendario britannico con il quale si è messo in moto un complesso processo politico-istituzionale pone in immediata evidenza la connessione sempre più profonda tra dimensione interna e dimensione europea da un lato; tra democrazia rappresentativa organizzata in soggetti politici di tipo partitico e forme potenzialmente assolute di democrazia diretta dall’altro; tra identità anche razzialmente omogenee dall’altro ancora.

In questo contesto è chiamata anche l’Italia ad assumere orientamenti complessivi che non sembrano trovare (almeno sino ad ora) una base culturale di tipo popolare, che pare trovare quasi esclusivamente nella CDU tedesca un punto di riferimento decidente ed essenziale.

Ed infatti nella primissima votazione del Parlamento europeo sono apparsi significativi gli italiani provenienti dal fronte che fa capo al movimento socialista europeo (del quale da non molto tempo fa parte il PD) o dal Movimento 5 Stelle che ha posto in evidenza soprattutto il fatto referendario del voto britannico, lasciando in qualche modo da parte la Lega che con Salvini tende sempre più a passare dalla originaria vocazione secessionistica alla recente evoluzione per così dire lepenistica.

La voce popolare – nelle votazioni dei diversi segmenti popolari italiani – infatti ha trovato soprattutto nell’orientamento complessivo degli europarlamentari tedeschi un punto di riferimento che all’origine (all’inizio degli anni 70) era stato italiano, persino sturziano.

Qualora si guardi al contesto europeo ci si rende sempre più conto che stiamo vivendo ad uno scontro tra vecchi, e talvolta nostalgici, nazionalismi e processo di integrazione europea da una parte (con il rilievo crescente dell’immigrazione) e dall’altra tra le espressioni della democrazia rappresentativa (della quale lo stesso Parlamento europeo è manifestazione) e le espressioni della democrazia diretta (tra le quali il referendum consultivo su una questione radicale quale è stata la Brexit).

Il popolarismo infatti (e quello sturziano in particolare) non si è mai identificato con la Nazione, perché pone la persona e non la cittadinanza (che nella storia occidentale è naturalmente nazionale) al centro della propria proposta ad un tempo di identità e di governo, né ha mai accettato una soluzione anche formale della esclusività della democrazia rappresentativa rispetto ad importanti istituti di democrazia diretta (come testimonia tra l’altro l’introduzione del referendum abrogativo nella Costituzione).

Nel nuovo contesto europeo, pertanto, sono in azione almeno tre proposte di identità e di governo alle quali si è venuta affiancando (soprattutto in Grecia e recentemente in Spagna) una quarta proposta che convenzionalmente affermiamo essere a sinistra del Partito socialista europeo.

L’intreccio tra dimensione europea – che la Brexit rende ancor più rilevante – e dimensione nazionale pone in evidenza la peculiarità della situazione italiana: in questa, infatti, da un lato si tende quasi a cancellare il passaggio europeo avvenuto negli anni settanta dall’originario gruppo europarlamentare democratico cristiano al Partito popolare europeo, e dall’altro si opera una sorta di contrapposizione ideologica tra il voto referendario e la democrazia diretta, quasi a voler tacere della piena compatibilità dello stesso con la democrazia rappresentativa.

Il popolarismo, infatti, tende ad un equilibrio tra democrazia rappresentativa e istituti di democrazia diretta perché fa dell’equilibrio tra passato presente e futuro l’asse portante della propria visione del rapporto tra nostalgia e cambiamento, laddove tutte le ideologie che fanno del cambiamento in sé o della novità in sé il fulcro del rapporto tra identità e governo, quasi cancellando il passato non solo cronologico ma anche e persino antropologico.

E’ come se fossimo entrati da qualche tempo in una sorta di bipolarismo radicale: tra vecchio e nuovo (con il secondo sempre e comunque da preferire anche a prescindere dai contenuti del nuovo); tra nazionale storicamente identificato e sovranazionale; tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta.

In tutte queste contrapposizioni il popolarismo appare in difficoltà di proposta sia sul piano della struttura costituzionale, sia sul piano della proposta economica. Affermare la centralità della persona, infatti, porta immediatamente a cercare l’innovazione economica con particolare rifermento al ruolo dello Stato o di soggetti pubblici in generale.

Il solo profitto economico, infatti, non può essere posto a base della globalizzazione, sì che ne deriva oggi la ricerca di un equilibrio tra benessere economico ed ecologia vista nel suo insieme.

Occorre pertanto guardare al nuovo contesto europeo cercando di indagare sulle molteplici ragioni che hanno condotto alla imprevedibile vittoria del “leave”: pura nostalgia per la “old England”? Paura del “nuovo” (con particolare al tormentatissimo rapporto dell’Europa con l’immigrazione e non solo extracomunitaria)? Significato quasi catartico del referendum? Rivolta contro l’establishment di Bruxelles?

Probabilmente l’insieme di tutte queste pulsioni, sicché occorre una complessiva risposta europea destinata ad avere ripercussioni anche traumatiche nei diversi contesti nazionali.

Ed è in questo contesto che occorre guardare in Italia: la costruzione complessiva di una posizione italiana appare infatti oggi o troppo sbilanciata in senso “nuovista”, anche a prescindere dai contenuti, o solo nostalgicamente ancorata ad una idea nazionale del tutto fuori dal contesto europeo. Anche dall’Italia il popolarismo è stato vissuto quale equilibrio tra sovranità nazionale e processo di integrazione europeo; o all’insegna di una combinazione di sostituzione di persone e democrazia diretta.

Non si tratta di operare nella logica di un centro-destra che fu (sul modello di quel che è accaduto a Milano nelle ultime elezioni amministrative) né di immaginare una qualche giustapposizione di sigle etero o neopartitiche di quello che fu il centro-destra della cosiddetta seconda repubblica.

Il contesto europeo che si è aperto con la Brexit, infatti, vede l’inizio di un processo nuovo che dovrebbe veder dar vita ad un equilibrio altrettanto nuovo, da un lato tra Stati nazionali ed integrazione europea (e si tratta dell’equilibrio anche nuovissimo tra la vecchia sovranità nazionale e il novum dell’europeismo in parte da costruire) e dall’altro tra le forme della democrazia rappresentativa e istituti, anche da riscoprire, della democrazia diretta.

In questi termini il popolarismo nuovo può dar vita a partiti politici non riproduttivi dei vecchi modelli perché teso proprio ad un equilibrio tra identità e governo che sia nuovo rispetto a quanti fanno della nostalgia, o del nuovismo ideologizzato, la cifra quasi esclusiva della propria proposta.

Un nuovo popolarismo nel nuovo contesto europeo

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