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Magari sedersi a tavola e gustare un buon pranzo fosse sempre gratis. Non lo è, quasi mai. E lo stesso vale per i miliardi di bonus piovuti sull’Italia in questi ultimi dieci anni, scanditi da crisi finanziaria, denaro a costo zero e poi improvvisamente non più, pandemia, crollo dei prezzi delle case, impennata dell’inflazione e due guerre a poche migliaia di chilometri dall’Europa. Tutto è cominciato con i famosi 80 euro del governo Renzi, poi è stata una spirale, fino al mostro, almeno secondo alcuni, del Superbonus, passando per il reddito di cittadinanza.

Ha avuto senso tutto questo? Elargire aiuti, lavorare di sgravi, distribuire mance, riscrivere parte della riscossione fiscale, ha fatto il bene dell’economia e il male delle finanze pubbliche, stressate da un debito di 2.800 miliardi? E non è che poi, per aiutare questa o quella categoria magari anche per calcolo elettorale e dimenticandosi troppo presto che tali interventi sono stati presentati sempre e in ogni caso come privi di costi, come se il debito pubblico non fosse anche il debito degli italiani, si è finito per mettere una nuova ipoteca sulle giovani generazioni? Dare soldi, costa, e qualcuno alla fine paga sempre. Tutte queste domande se le è poste l’economista Veronica De Romanis, nelle quasi 170 pagine deel suo ultimo saggio Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti), edito da Mondadori e presentato al Maxxi alla presenza di Federico Freni, sottosegretario al ministero dell’Economia, Paolo Mieli giornalista, Luigi Marattin deputato, Flavia Perina giornalista e Alessandro Giuli, presidente del Maxxi.

Dieci lunghi anni di spesa pubblica farcita di bonus, per tentare di sostenere l’economia reale, a discapito delle finanze. Ne è valsa la pena?

Il messaggio sotteso, quello che il volume vuole denunciare, è la mancanza di trasparenza perpetrata in questi anni. Una misura presentata come priva di costi, ma che in realtà ne ha, questa pratica l’abbiamo vista quasi sempre, soprattutto negli ultimi anni, ignorando le regole più elementari, ovvero spiegare chi ne beneficiava e quanto costasse allo Stato, cioè ai contribuenti. Se si lanciano dei soldi dall’elicottero, l’economia reale ne potrà anche beneficiare, ma alla fine il costo è quasi sempre maggiore del beneficio. Lo abbiamo visto con il Superbonus, con un Pil che è salito solo momentaneamente a fronte di un impatto molto più grande e permanente sui conti, a cominciare dal deficit.

Mettendoci per un momento nei panni dell’italiano medio, forse va detto che spesso le famiglie non si sono poste questa domanda, queste problematiche. Lo Stato elargiva e tanto bastava, poi se ci rimettevano i conti pubblici, pazienza… Forse anche qui serviva una comunicazione più efficace?

Questo è esattamente il cuore del problema che affronto nel libro, specialmente nella parte finale. Le due parole d’ordine sono informazione, ovvero un ruolo importante di chi fa comunicazione, che deve pressare i politici e chiedere quanto costa una misura. E formazione: i cittadini debbono sapere di cosa stiamo parlando, debbono avere una base di contabilità nazionale e non mettere la testa sotto la sabbia. Se ti dicono che ti danno un bonus, il cittadino deve chiedersi quanto costerà e chi pagherà, al pari dei comunicatori che devono interpellare la politica. Altrimenti è un altro pasto gratis che alimenta solo il debito.

Insomma, è una questione di buona comunicazione…

Sì. Se lo Stato ti dà 80 euro e tu ti compri uno zainetto, devi chiedere e chiederti quanto ti costa alla fine quello zainetto, a te e alla collettività. Perché quasi sempre la risposta è molto di più.

Andiamo ai giorni d’oggi. Il governo, nell’ambito della riforma fiscale, ha previsto lo stralcio delle cartelle non riscosse entro cinque anni. Anche questo è un pasto gratis?

Anche qui stiamo raccontando una realtà distorta. Il meccanismo è uno Stato che diventa amico di chi ha bisogno. Ma penso anche a chi ha bisogno ma continua a pagare le tasse. E allora, mi chiedo, perché lo Stato non è amico di questi ultimi? Evidentemente c’è un tema di incentivi, rischioso anche, perché se si fa passare il messaggio che se non paghi le tasse in ogni caso te la cavi, alla fine hai anche meno entrate e si torna al punto di partenza: meno incassi, più debito, più pasti gratis.

A forza di pasti gratis il debito rischia di aumentare più di quanto non abbia fatto in questi anni. Faccio però notare che oggi lo spread Btp/Bund è ai minimi da due anni. I mercati non se ne sono accorti?

Sì è vero, lo spread è sceso, anche se rimane superiore a quello della Grecia o della Spagna. I mercati, molto semplicemente, si stanno fidando dell’Italia e forse nutrono anche molte speranze in un taglio dei tassi da parte della Bce. Ci guardano e ci credono, cioè credono a quanto scritto dal governo nella Nadef, ovvero passare, attraverso una riqualificazione della spesa, da un disavanzo primario dell’1,5% a un avanzo dell’1,6%. Ma le promesse vanno mantenute e se non si mantengono, lo sappiamo, i mercati reagiscono in maniera violenta.

A proposito di tassi. A giugno la Bce dovrebbe dare la prima sforbiciata. C’è da crederci?

Ci andrei molto cauta, dipende da un insieme di fattori. Christine Lagarde lo ha fatto intendere ma c’è ancora tanta incertezza, tensioni geopolitiche, quello che la Bce vuole evitare è tagliare i tassi per poi correggersi in corsa. E quello sarebbe un grande errore.

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