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Come per gli 80 euro mensili promessi anche ai pensionati al minimo, si dirà, se non si è già detto, che Matteo Renzi ha voluto distrarre l’attenzione del pubblico da Potenza, e dalle polemiche sugli affari petroliferi finiti sotto indagine nella Procura di quella città, al Cairo. Non all’editore Urbano, che ha appena annunciato la scalata al Corriere della Sera sfidando la cattiva sorte di qualche suo predecessore nell’impresa, ma alla capitale d’Egitto, da dove l’ambasciatore italiano è stato ritirato per protesta contro la gestione a dir poco omertosa dell’inchiesta sull’orrenda fine del povero connazionale Giulio Regeni. Che per le torture subite ripetutamente prima di morire non poteva che essere finito tra le mani e gli attrezzi degli specialisti del ramo di qualche servizio militare o di polizia, convinti di avere catturato una spia, o qualcosa del genere. Altro che incidente stradale e sequestro da parte di qualche banda di balordi, come si è troppo a lungo cercato di far credere. E si è fatto ripetere dagli inquirenti locali a quelli italiani in una missione a Roma dalla quale giustamente non si è lasciato incantare il governo, per quanto comprensivo per le condizioni di pericolo terroristico in cui opera il regime del generale al-Sisi, per non parlare dei tanti interessi economici e politici che accomunano l’Italia e l’Egitto.

Pur con tutto il rispetto per la tragedia Regeni e l’indignazione che merita l’ostinazione con la quale al Cairo cercano di nascondere la verità per non punire esemplarmente i responsabili, dubito che il presidente del Consiglio riuscirà a distogliere più di tanto l’attenzione da Potenza e dintorni, compreso il referendum ormai imminente contro le trivelle. Che sono diventate nell’immaginario collettivo, grazie al caso giudiziario lucano, sinonimo di corruzione, di resa agli interessi dei petrolieri e califfi più o meno locali, e di potenziale disastro ambientale.

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È in fondo un disastro ambientale, effettivo e non solo potenziale, anche quello prodotto dalla quantità industriale delle intercettazioni diffuse dagli inquirenti lucani, che offrono della politica e dell’imprenditoria con i suoi protagonisti, attori e comparse, uno spaccato miserevole. Ed hanno spalancato le porte ai soliti processi mediatici, più rapidi e devastanti di quelli giudiziari perché condotti col solito rito sommario e inappellabile.

 

Il filo comune di tutte, o quasi, le intercettazioni, comunque di quelle che hanno fatto più notizia, è la volgarità del linguaggio, e non solo della concezione della politica e degli affari. Una volgarità, a dire il vero, alla quale siamo ormai abituati, senza bisogno di leggere i testi delle telefonate registrate su ordine delle Procure di turno, bastando e avanzando quelle che riceviamo o facciamo al riparo da intercettazioni, o che ci capita di ascoltare per strada, o in viaggio, o in fila davanti a qualche sportello. Una volgarità che fa presto a passare dalle parole ai comportamenti. E contribuisce a dare la misura del degrado subìto da quella società che ci ostiniamo a chiamare, chissà perché, civile.

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Appartiene purtroppo alla categoria dei disastri ambientali anche la crisi di quello che fu il centrodestra in Italia ma, più in particolare in questo turno primaverile di elezioni amministrative, a Roma. Dove il candidato a sindaco selezionato e messo in campo personalmente da Silvio Berlusconi, il povero Guido Bertolaso, frettolosamente richiamato in Italia dalle sue attività di lodevole volontariato all’estero, è ormai diventato oggetto e non più soggetto di Protezione Civile. Egli ha cioè bisogno più di essere soccorso che di soccorrere i malcapitati incorsi in qualche situazione di emergenza.

 

Se sono poi vere le cronache di un Berlusconi che, di fronte ai sondaggi in discesa, non sa come chiedere al suo candidato di ritirarsi, preferendo aspettare che sia lo stesso Bertolaso a toglierlo dall’imbarazzo con una rinuncia spontanea. O di un Berlusconi che esita a cambiare cavallo perché sa che in tal caso ciò che gli rimane del partito si spaccherebbe fra la candidatura di Giorgia Meloni, la vivace sorella dei Fratelli d’Italia, e quella sostanzialmente civica di Alfio Marchini, rampollo di una vecchia e storica famiglia romana di sinistra osservato con simpatia già nei mesi scorsi dall’ex presidente del Consiglio, il problema non sarebbe più di analisi politica ma di psicanalisi. E ciò, ad occhio e croce, a beneficio più della candidata grillina, Virginia Raggi, che del candidato del Pd di Renzi, il vice presidente della Camera Roberto Giachetti, già collaboratore di Francesco Rutelli in Campidoglio, accomunati dalla provenienza dalla scuderia radicale di Marco Pannella.

Guidi, le intercettazioni e i vergognosi processi mediatici

Come per gli 80 euro mensili promessi anche ai pensionati al minimo, si dirà, se non si è già detto, che Matteo Renzi ha voluto distrarre l'attenzione del pubblico da Potenza, e dalle polemiche sugli affari petroliferi finiti sotto indagine nella Procura di quella città, al Cairo. Non all’editore Urbano, che ha appena annunciato la scalata al Corriere della Sera sfidando…

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