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Le vicende giudiziarie apprese in questi giorni su questioni riguardanti le estrazioni petrolifere in Basilicata sollecitano nella grande opinione pubblica nazionale alcune riflessioni riassumibili nei seguenti punti:

1) I reati ascritti nella fase delle indagini preliminari ad un certo numero di imputati –  restando solo presunti sia in sede di eventuale udienza preliminare e sia fino alla conclusione del terzo grado di giudizio in Tribunale, in Corte d’appello e in Cassazione e che pertanto non sono giudicabili ‘senza appello’ sugli organi di stampa – devono essere documentalmente accertati sempre e soltanto nelle sedi competenti ed esclusivamente nel rigoroso rispetto di tutte le procedure previste nel codice che le regola. Il semplice richiamo a questo fondamentale principio di civiltà giuridica – che sconfina, ne siamo consapevoli, nell’ovvietà – è doveroso per tentare di diradare i polveroni che in molti casi tendono a sollevarsi in Italia senza che si siano neppure avviati gli iter che stricto iure presidiano nel nostro ordinamento giudiziario l’accertamento in regolari processi nei Tribunali di presunte responsabilità penali;

2) le imprese italiane ed estere  – qualunque ne sia la dimensione e il comparto in cui operano – devono rispettare nel nostro Paese sempre e integralmente quanto previsto dalle norme e dalle procedure amministrative in materia di appalti, tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini e devono mantenere trasparenza assoluta, ovviamente in logiche di mercato, nell’assegnazione di commesse, subappalti, incarichi professionali e consulenze. Questi principi non sono in alcun modo derogabili, da nessuno e per nessuna ragione. Se poi tuttavia tali normative fossero e apparissero farraginose e poco chiare – e spesso lo sono, e causa perciò di appesantimenti burocratici a volte insostenibili nel momento in cui bisogna valutare tempestivamente la tempistica e la redditività di un determinato investimento – si possono e si dovrebbero promuovere pubblicamente limpide iniziative politico-culturali per rendere nelle sedi istituzionali a ciò preposte quelle normative meglio articolate e celermente utilizzabili, ma sempre nell’assoluta trasparenza e nel pieno rispetto degli ecosistemi e della salute dei cittadini, da perseguirsi con l’impiego delle migliori tecnologie disponibili e delle più avanzate pratiche operative, come peraltro disposto – quando necessarie – nelle varie procedure di Via, Vas, etc.

Detto tutto ciò – che rasenta, lo ripetiamo, l’ovvietà – è opportuno ribadire con altrettanta chiarezza che sono del tutto fuoristrada coloro i quali, alla luce delle vicende di questi giorni, ritenessero che gli investimenti industriali di società italiane ed estere nelle attività estrattive nel nostro Paese debbano essere cancellati per sempre, quando al contrario essi sono necessari per la difesa dell’occupazione di migliaia di operai, tecnici, quadri e dirigenti, già presenti nelle attività estrattive e nelle filiere dell’indotto o da assumersi in esse per aumentare la ricchezza nazionale e per offrire vantaggi tangibili anche alle comunità locali. Chi, dopo le vicende all’Ilva di Taranto, coltivasse o tentasse di attuare ancora una volta propositi antindustrialisti, deve essere sconfitto con una grande battaglia politico-culturale promossa dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica – e soprattutto da Sindacati, imprenditori e ricercatori – a tutela del ruolo dell’Italia come Paese industriale di rango mondiale che non può e non deve rinunciare alla produzione di acciaio dell’Ilva, alle estrazioni di gas e petrolio in Basilicata e ovunque esse si svolgano on e off-shore, all’industria della raffinazione più avanzata come ad esempio a quella avviata a Gela dall’Eni. Al riguardo, è bene non dimenticare (mai) che non sono pochi anche nell’Unione Europea i Paesi che vorrebbero vederci indeboliti economicamente e soprattutto sotto il profilo industriale, per farci (forse) regredire alla condizione della penisola dopo il Congresso di Vienna, quando fummo definiti ‘una semplice espressione geografica’. Naturalmente – lo ripetiamo sino alla nausea – le attività industriali (tutte, nessuna esclusa) devono svolgersi nel pieno rispetto delle normative vigenti in Italia in materia di tutela della salute e dell’ecosostenibilità.

“Bisogna contrastare il paradosso del secondo Paese industriale d’Europa in cui vivono ancora rilevanti dimensioni di cultura antindustriale”. Lo ha affermato nelle scorse settimane il neo Presidente designato di Confindustria Vincenzo Boccia. E a sua volta il Presidente di Confindustria Puglia, Domenico Favuzzi ha dichiarato: “E’necessario combattere il sentimento antindustriale di tanti settori della società meridionale che stride fortissimo con il lamento sulla mancanza di occupazione. Deve essere trovato un equilibrio virtuoso tra il totale rispetto per l’ambiente e la necessità di assicurare tempi e modalità certe per chi vuole investire nelle nostre regioni.” Condividiamo alla virgola.

Federico Pirro – Università di Bari

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