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Dopo essere perfino arrivato ad affermare che l’Occidente sostiene il terrorismo avendo favorito, a suo dire, il tentativo di colpo di stato del luglio scorso, le provocazioni di Erdogan contro l’Europa non si fermano. L’imponente manifestazione di Istanbul, organizzata per dimostrare a tutti quanto sia grande il sostegno a lui e al suo governo, gli ha consentito di rilanciare la minaccia di reintrodurre la pena di morte e, contemporaneamente, di attaccare la Germania. Questa è stata accusata di complottare contro di lui per aver rifiutato di teletrasmettere il suo discorso ai manifestanti turchi riunitisi a Colonia per sostenerlo e condannare i golpisti. Nei giorni precedenti, aveva anche criticato l’Alto Commissario Europeo per non avere lei espresso sostegno al governo durante le febbrili ore del putsch. In realtà, proprio a differenza di tutti gli altri leader politici che si erano invece pronunciati con estrema prudenza, la Mogherini aveva pronunciato parole a difesa delle legittime Istituzioni Turche. Ma poco conta: Erdogan vuole forzare la mano degli europei, sicuro di non subire conseguenze.

La nostra opinione pubblica è, comprensibilmente, indignata per la sua strafottenza e per quello che sta ora succedendo in Turchia e si domanda perché Bruxelles non assuma un atteggiamento più duro nei suoi confronti.  Tuttavia, anche la stampa occidentale, pur riferendo con toni preoccupati gli avvenimenti, si limita a una condanna di prammatica e non va oltre.

Le ragioni di questa reticenza, in realtà, sono ben evidenti a ogni politico esperto. La popolazione turca, nella sua grande maggioranza, ha condannato il colpo di stato e anche tra i partiti laici c’è la netta consapevolezza che, questa volta, i militari non erano animati dalle stesse intenzioni che avevano mosso gli autori dei precedenti golpe. Tra di loro c’era sicuramente qualche difensore della Turchia laica di Ataturk, ma, molto probabilmente (e su qui Erdogan ha ragione), gli attori principali e gli ispiratori di quanto successo facevano  parte di un’altra forza islamica, quella che diretta dall’auto esiliato Fetullah Gulen. Costoro costituiscono un gruppo compatto ed esteso che si è infiltrato in tutte le maggiori Istituzioni del Paese arrivando a creare una sorta di potere parallelo a quello ufficiale. Dopo aver rotto l’iniziale alleanza che gli consentì di conquistare il potere, è contro di loro che Erdogan sta agendo con metodi brutali. Certamente, con la scusa di eliminare i gulenisti infiltrati, il Sultano sta approfittando per fare piazza pulita di chiunque gli sia di ostacolo nella sua corsa verso il potere assoluto. L’occidente vede e capisce ma è anche conscio che il cinquanta percento della popolazione che non condivide le sue mire rimane diviso ed è incapace di qualunque azione alternativa.

Preso atto di questo, il motivo principale della mancanza di vera condanna da parte di Usa ed Europa sta in motivazioni politiche ancora più profonde. La Turchia è un membro indispensabile della Nato per la lotta contro l’ISIS e la sua posizione geografica nel Medio Oriente e sul Bosforo la rende ancora più importante ora che sono alte le tensioni con la Russia. E’ dalla base turca di Incirlik che possono partire gli aerei americani per bombardare le forze del califfato in Siria e in Iraq e il controllo dello Stretto dei Dardanelli rimane un asset strategico. L’Europa, da parte sua, ricorda i flussi di migliaia d’immigrati che, prima dell’accordo con Ankara e dei relativi soldi sborsati, partivano dalle coste turche verso le vicine isole greche per poi puntare verso la Germania. Il governo di Berlino esprime qualche critica verso Erdogan ma lo fa in maniera ben attenta a non passare un certo limite ed è realmente preoccupato dalla minaccia di far decadere l’accordo raggiunto se ai cittadini turchi non sarà dato libero accesso, senza visto, in tutti gli Stati dell’Unione Europea.

Erdogan non si limita però solo a minacce verbali. Per ricattare in modo ancora più stringente l’Occidente, dà, volutamente, grande enfasi all’incontro appena avvenuto a San Pietroburgo con Putin. Non a caso lo ha definito un “fatto storico”, lasciando intendere che l’intesa con la Russia sarà sempre più stretta. Proprio per depotenziare questa ipotesi due settimane fa si è recato ad Ankara un alto Generale americano e il 24 di agosto è prevista una visita dell’instancabile Kerry.

Di cosa si siano detti Putin ed Erdogan si conosce solo ciò che si voleva far sapere ma è facile intuire quali siano oggi i punti d’interesse comuni e i possibili accordi. La Russia ha tutto l’interesse a dividere il fronte occidentale e a rompere l’assedio sulla questione Ucraina. Vuole altresì depotenziare i sotterranei dissidi riguardanti i rapporti con l’Azerbaigian e garantirsi una sponda non più ostile in Siria. Proprio la Siria è diventata la prima delle preoccupazioni turche da quando i curdi di quel Paese hanno saputo tener testa all’ISIS e dilagare anche al di fuori delle arre da loro più densamente popolate. Questi loro successi, favoriti dagli Stati Uniti, stanno creando la concreta possibilità che una qualunque pace futura possa consentire la nascita di un’altra Regione Autonoma Curda vicina al loro confine, con le naturali conseguenze che ciò potrebbe causare nella regione curda di Turchia. Delle ambizioni curde ai russi può interessare poco: a loro serve che siano garantite le basi navale e aerea di Tartous e di Latakia e che, qualunque sia il governo a Damasco, sia tale da non mettere a rischio la loro permanenza in quelle località. Una parte importante di una possibile intesa starebbe in uno scambio: i turchi accetterebbero una soluzione che garantisca le due basi e i russi agirebbero per impedire che si confermi una zona curda autonoma o addirittura indipendente.

Anche l’aspetto economico avrà un giusto spazio: entrambi i Paesi stanno soffrendo della crisi economica internazionale, se pur ne sono colpiti in modi e gravità differenti. Le migliaia di turisti russi che riempivano in ogni stagione le coste turche sono venute meno da quando l’abbattimento dell’aereo russo ha spinto il governo di Mosca a “scoraggiare” i viaggi in Turchia e anche la costruzione della centrale nucleare a tecnologia russa nel Paese anatolico era stata sospesa. Con una nuova intesa tutto può ricominciare e tra i progetti comuni potrebbe ripartire anche il Turkish Stream, destinato a convogliar il gas russo in Europa senza passare dall’Ucraina aggiungendosi ai North Stream 1 e 2.

Va pure aggiunto che se fosse vero che il preavviso del colpo di stato fosse stato comunicato ai turchi dai servizi segreti israeliani all’insaputa di quelli americani, il rischio di un’altra falla nel sistema di alleanze occidentali nella zona diventa ancora maggiore.

Contro queste eventualità giocano però due fattori che sono le carte su cui l’Europa e la Nato possono contare. Il sistema economico turco è tutto orientato verso l’occidente e così è per le Forze Armate. Soprattutto nella crisi interna che queste ultime stanno subendo a causa delle “pulizie” volute dal regime, una rinuncia alla collaborazione con la NATO esporrebbe tutto il Paese a una recrudescenza dell’instabilità dovuta alla ripresa delle azioni violente dei curdi. Erdogan può minacciare e fare la fronda ma solo fino a un certo punto e certamente non oserà passare a fatti concreti contro l’Alleanza Atlantica.

Anche la Russia avrà i suoi problemi a un’intesa a lungo termine con i turchi. Costoro sono sempre stati visti molto male dal russo medio e, dopo l’abbattimento dell’aereo, i media locali di ogni genere hanno ospitato dibattiti, redazionali e dichiarazioni di “esperti” che sottolineavano tutti gli aspetti negativi della Turchia e di Erdogan in particolare. Non sarà facile per il Cremlino invertire ora la rotta e presentarli come “amici” senza perdere credibilità davanti alla propria opinione pubblica.

Infine, di là da fattori momentaneamente convergenti, le opzioni strategiche dei due Paesi sono così contrastanti e la diffidenza reciproca così profonda che, anche nel caso di un presente accordo, entrambi i sottoscrittori sanno che non sarà destinato a durare e dovranno tenerne conto.

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