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Durante il question time di mercoledì alla Camera, il ministro della Difesa italiana Roberta Pinotti ha spiegato che “il governo è pronto a valutare positivamente un’eventuale richiesta di uso delle basi e dello spazio aereo se fosse funzionale a una più rapida e efficace conclusione dell’operazione in corso”. Il riferimento era ovviamente all’intervento militare americano in Libia, con cui Washington intende dare copertura aerea alla campagna lanciata dai miliziani misuratini fedeli al governo sotto egida Onu di Fayez Serraj.

I raid aerei statunitensi rientrano tra i commi della risoluzione Onu 2259, approvato dal Consiglio di Sicurezza il 23 dicembre scorso, ossia sei giorni dopo che a Skhirat, in Marocco, era stato chiuso il Libyan Political Agreement (Lpa), l’accordo per la soluzione politica della crisi che ha dato il via alla costruzione del governo di concordia (Gna) guidato da Serraj: richiedere l’aiuto militare internazionale contro lo Stato islamico era uno dei poteri concessi, anzi, un eventuale intervento è da sempre stato subordinato da tutta la Comunità internazionale alla richiesta esplicita del premier Serraj.

Mercoledì sera la maggioranza ha approvato a Montecitorio una mozione che ribadisce proprio questa impostazione e dà praticamente semaforo verde all’apporto logistico che l’Italia darà alla missione a guida americana, fornendo la base di Sigonella e forse anche quella di Aviano. Al momento non è necessario un ulteriore passaggio parlamentare, ma se il governo dovrà decidere su altre questioni, per esempio il coinvolgimento di mezzi militari italiani in operazioni di sostegno e messa in sicurezza dopo la fine della fase di bombardamenti, è possibile che sia richiesto un voto in Parlamento; già invocato da Sinistra Italiana per deliberare l’apertura dei nostri cieli agli americani.

COSA CAMBIA PER L’ITALIA?

“Al momento l’Italia non vedrà grossi cambiamenti sul proprio coinvolgimento”, dice a Formiche.net il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa e vicepresidente dello Iai (Istituto affari internazionali). “S’è parlato del fatto che gli Stati Uniti hanno scavalcato gli alleati europei, ma è comprensibile il motivo per cui Serraj ha mosso verso Washington la richiesta: gli europei hanno tutti qualcosa che li rende poco graditi in Libia. I francesi, per esempio, si muovono con ambiguità anche sul lato della Cirenaica, sugli italiani pesa il trascorso coloniale”. “In fondo, più che guidare una missione – aggiunge il generale – l’Italia deve pretendere la leadership politica su quello che sarà il processo successivo, una volto sconfitto lo Stato islamico e avviato la fase di ricostruzione del Paese. Non è interesse italiano un intervento militare, ma lo è il riuscire a portare avanti il sostegno politico e diplomatico a Serraj, fronte su cui Roma è impegnata in primo piano”.

UN’OPERAZIONE BREVE

Il presidente americano Barack Obama ha dato la scadenza di trenta giorni ai raid aerei: saranno sufficienti? “Forse ne serviranno anche di meno. Bisogna tener conto che i bombardamenti contro lo Stato islamico a Sirte sono localizzati e diretti contro poche centinaia di uomini di Abu Bakr al Baghdadi. Nella città costiera libica si sta svolgendo una guerra urbana combattuta casa dopo casa da un paio di mesi: Serraj s’è trovato costretto a richiedere un adeguato supporto aereo per evitare che le perdite (oltre 300 morti e più di duemila feriti, ndr) si facessero ancora più consistenti”. Tripoli, continua il generale, “ha a disposizione vecchi Mig di epoca sovietica, jet obsoleti (sono costretti a volare a bassa quota per stare più vicini ai bersagli, visto che le bombe che sganciano sono rudimentali e prive di sistemi di puntamento, ndr), niente di paragonabile alla tecnologia messa in campo dagli americani e dagli occidentali in genere. Attacchi di precisioni, supportati da dati di intelligence raccolti dai voli dei velivoli con o senza pilota e dalle riprese satellitari”. Un apparato che può certamente fare differenza su una situazione in stallo da settimane, dopo che la campagna, chiamata dai misuratini Banyan al Marsous, aveva vissuto una fase iniziale in cui i baghdadisti perdevano territorio rapidamente.

IL RUOLO DELLA NAVE NEL MEDITERRANEO

“Serraj ha anche parlato esplicitamente dell’assenza di truppe di terra straniere”, aggiunge Camporini, “tuttavia è probabile che gli americani si siano lasciati aperti un’opzione per l’invio di unità di search and rescue (come quelle pronte sulla nave anfibia “Wasp”, ndr) se qualcosa dovesse andare storto: voglio dire, è legittimo pensare che Washington non affidi il recupero di un proprio pilota abbattuto o costretto a un atterraggio di emergenza in ambiente ostile, ai miliziani libici, ma invii dei propri soldati”. Secondo una ricostruzione del giornalista Babak Taghvee, pubblicata qualche giorno fa anche da Formiche.net, nella prima ondata di raid sarebbero decollati dalla “USS Wasp”, che dal 24 luglio si trova nel Mediterraneo meridionale, tre Osprey, aerei utilizzati per il trasporto di unità speciali che hanno accompagnato i velivoli d’attacco: nella fattispecie è probabile che si sia trattato di tre team della 22esima Meu, unità speciale dei Marines messa in azione proprio con il compito di ottemperare a quanto spiegato dal generale.

CHE COSA POTREBBE CAMBIARE IN LIBIA?

Quello che sta accadendo avrà dei contraccolpi nella situazione interna libica? “È molto probabile. Khalifa Heftar (il generale che muove le sue linee politico-militari dall’Est libico, ndr) sta combattendo a Bengasi contro sacche di resistenza anche islamiste, ma non collabora con Serraj, anzi si pone in contrapposizione. Se con il supporto aereo americano Tripoli riuscirà a sconfiggere il Califfato in Libia, allora sarà la legittimazione di autorevolezza definitiva per Serraj e per il Gna”. A quel punto, sostengono anche altri analisti, sarà difficile per Heftar continuare il suo ostruzionismo, dopo che Tripoli avrà vinto una guerra al fianco degli Stati Uniti.

IL CONTENIMENTO RUSSO

Alcune ricostruzioni hanno delineato una lettura più ampia sull’intervento americano: per qualche analista potrebbe esserci dietro anche un tentativo di isolamento della Russia, una mossa di anticipo di Washington, per evitare il coinvolgimento troppo diretto di Mosca sul dossier libico, con riflessi anche su altri teatri, come la Siria. “Personalmente non ho dato questa lettura: non credo che Obama abbia deciso l’azione pensando ad altri scenari. La Russia in Libia ha di fatto poco spazio operativo”.

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