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L’ultimo attentato in Turchia è stato al centro di Ankara la scorsa domenica 13 marzo. Malgrado non sia stato rivendicato, secondo fonti governative la donna kamikaze che si è fatta esplodere con un’autobomba, provocando 37 vittime, apparteneva però al Pkk.

Un attentato rivolto esplicitamente contro civili, diversamente da quanto accaduto a febbraio, in cui un autobomba aveva colpito un convoglio militare fermo al semaforo. Ma cosa succede in Turchia? C’è una nuova radicalizzazione del conflitto con i curdi del Pkk? Formiche.net l’ha chiesto a Federico De Renzi, analista politico e esperto di cose turche, secondo cui gli attentati che da qualche anno scuotono la Turchia rientrano in una “strategia della tensione” che mette il paese in una costante situazione di emergenza e giustifica, quindi, l’uso della forza sia dentro il Paese che nel conflitto in Siria.

LA RESPONSABILITÀ DELL’ATTENTATO

37 morti e 125 feriti sono i numeri dell’attentato di domenica 13 marzo ad Ankara. Una dei due kamikaze è l’ex studentessa universitaria turca, Seher Cagla Demir, che si sarebbe unita al Pkk curdo nel 2013, secondo quanto scrive il quotidiano Sozcu, citando fonti vicine alle indagini. Ma secondo Federico De Renzi, è improbabile che sia il Partito dei Lavoratori del Kurdistan il vero responsabile: “Il Pkk rimane per la Turchia il principale nemico e lo sta dimostrando ormai da quasi tre anni in Siria, ma temo che non sia direttamente responsabile dell’attentato“.

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

Quello che sta succedendo in Turchia – spiega De Renzi – è che almeno è in atto una strategia della tensione, un’escalation di violenze sia verbali, verso tutti i rappresentanti dell’opposizione politica, sociale e culturale, sia terroristica. Questa radicalizzazione – continua l’analista freelance – è il risultato di un lungo processo che non è cominciato quest’anno, ma va avanti da decenni, ancora prima del governo dell’Akp (partito di Erdogan, ndr). C’è una polarizzazione a tutto campo della società in cui gli attentati sono una punta estrema“.

L’INSTABILITÀ TURCA

Il nemico Pkk, insomma, serve a semplificare una frammentazione interna alla società turca che è molto più ampia di quanto si pensi. La questione curda, infatti (non limitata solo all’azione – anche violenta – del Pkk) non è la unica ad essere indicata come fonte di destabilizzazione da parte di Ankara. Ad essere sistematicamente attaccate, spiega De Renzi, sono tutte le opposizioni, rappresentate ad esempio dall’Hdp (Partito Democratico del Popolo), che ha impedito a Erdogan di raggiungere la maggioranza assoluta alle ultime elezioni. Attacchi che si manifestano anche con l’offensiva nei confronti della stampa libera, da ultimo il quotidiano Zaman totalmente rimodellato in termini filo-governativi, e gli attacchi ai singoli giornalisti di testate indipendenti, come Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet, e Erdem Gul, capo della redazione di Ankara del giornale, arrestati con l’accusa di spionaggio dopo un inchiesta sul traffico di armi tra Turchia e Siria e liberati dopo 92 giorni di prigionia.

IL NODO DELLA POLITICA ESTERA

L’instabilità interna alla Turchia, dunque, non è slegata dal conteso internazionale in cui si muove. Quella che Alberto Negri sul Sole 24 Ore chiama “questione nazionale non risolta” relativa al conflitto con i curdi si lega a doppio filo con la crisi in Irak e Siria, con le pressioni (e gli interessi) di Russia e Usa nella regione – legate ulteriormente agli interessi degli altri paesi della regione, come Iran e Arabia Saudita.
È molto comodo parlare solo del Pkk – conclude De Renzi –, e sostenere che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan sia responsabile della destabilizzazione in Siria è un modo per giustificare comportamenti poco limpidi sia dentro e fuori dal Paese. Il fatto, poi, che Erdogan abbia dichiarato che il Pkk sia più pericoloso dell’Isis rappresenta perfettamente gli interessi turchi e, indirettamente, quelli dell’Alleanza atlantica di cui la Turchia fa parte“.

L’ACCORDO SUI MIGRANTI

In questo contesto pensare che la Turchia possa essere la soluzione del problema europeo nella gestione – al momento disastrosa – dei migranti (qui tutti i dettagli) è quantomeno assurdo, spiega De Renzi. “Da Bruxelles stanno cercando una soluzione in quello che in realtà è una parte del problema. La Turchia sta usando la carta dei migranti per consolidare la sua posizione nello scacchiere internazionale, lo dimostra il fatto che solo pochi anni fa Ahmet Davutoglu (allora ministro degli Esteri, ora Primo Ministro) non ritenesse l’ingresso nell’Ue una questione prioritaria, mentre ora è una delle clausole del contratto sui migranti“, aggiunge De Renzi. I migranti, così come le vittime dell’attentato di domenica, sono uno strumento di pressione verso le politiche dell’Europa nel vicino Oriente e, all’interno del Paese, per preservare il consenso.

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