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Ci sono dei temi che ciclicamente ritornano in primo piano sui giornali, unicamente perché sono sempre di attualità. Uno di questi è di sicuro il dramma della corruzione. Se ne parlò mesi fa in occasione dello scandalo Mafia Capitale, con tutte le conseguenze che ben sappiamo. Se ne riparla oggi a Milano per l’inchiesta sulla giustizia tributaria, dove è emersa un’altra mazzetta da 60 mila euro e altri quattro arresti. La procura di Milano ha rilevato la presenza di “un vasto sistema di corruzione che coinvolge giudici tributari, professionisti e altri soggetti disposti a risolvere le proprie vertenze pagando, un sistema che è stato utilizzato per azzerare complesse indagini della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate”.

Domani converrà attenderci l’uscita di qualche altra nefandezza, e così via all’infinito. Esiste tra i cittadini ormai la consapevolezza che in materia di corruzione è molto difficile che cambi qualcosa. Al massimo il fenomeno muta forma e volto, spostandosi altrove. In ogni caso, corrotti eravamo e corrotti saremo sempre.

Bene. Ma dal punto di vista generale, che cosa significa precisamente corruzione?

Nella Treccani la voce è così descritta: “Scambio illegale tra un pubblico ufficiale e un soggetto privato, nel quale quest’ultimo si fa parte attiva per dare al primo denaro, beni o favori, e in cambio riceve un vantaggio che non gli è dovuto o è costretto a pagare per un atto dovuto”.

Una definizione ovviamente esatta che chiama in causa il vero male che affligge questo Paese: l’illegalità. Noi italiani abbiamo una propensione largamente diffusa a considerare legale un sistema di norme che sono estranee rispetto all’esercizio pratico della libertà. In fondo ci interessiamo della legge unicamente quando essa ci costringe a farlo, sanzionandoci e mettendoci davanti all’obbligo di dovercene fare carico con commercialisti e avvocati.

Per questo la corruzione è tanto diffusa in Italia. Perché essa è effetto concreto dell’illegalità come cultura di fondo, e quest’ultima ha la sua origine nel tipo di uso che ciascuno di noi fa della propria libertà.

Poiché poi la libertà individuale è la base della democrazia, è logico affermare che la corruzione definisce il modo in cui è strutturato il nostro sistema democratico: un impiego spregiudicato della libertà che considera la legge un corpo estraneo, un vincolo coercitivo, da aggirare o da subire, secondo i casi, ma in cui è impossibile credere senza essere deficienti o ipocriti.

Non stupisce pertanto che la riforma dell’ex Cirielli, definita da Raffaele Cantone quasi un incentivo alla corruzione, sia arenata senza speranza in commissione al Senato. Non è colpa dell’ostruzionismo di questo o di quel gruppo parlamentare, ma della difficoltà a uscire fuori da un circuito nel quale se si opta per la legalità, si sacrifica la libertà; se invece si sceglie la libertà, si deve strizzare l’occhio all’illegalità.

In realtà, dietro quest’anomalia si cela una stratificata ed errata concezione della legge e un altrettanto sbagliata idea di libertà. In entrambi i casi, infatti, vige un dualismo radicale tra due dimensioni, una soggettiva e l’altra oggettiva, incomunicabili tra loro e in conflitto permanente: il sistema normativo da un lato, faraonico e spesso incomprensibile, e dall’altro una scarsissima moralità diffusa, che rende priva di interesse ogni considerazione concernente il senso del nostro vivere in comune e dei valori che devono guidare una buona libertà rispetto al suo abuso immorale.

Per questo motivo, sebbene tutti i popoli liberi vivano in democrazia, esistono democrazie molto diverse tra loro, più o meno corrotte e più o meno funzionanti. Dipende dal modo di intendere non la legalità ma la libertà. Il nostro Paese è arrivato in questo nuovo millennio avendo perduto ogni riferimento e ogni verità, scivolando sempre più in basso nel baratro della criminalità. La perdita di valore prima del Cristianesimo, poi del senso dello Stato, infine di qualsiasi nobiltà politica ha denudato culturalmente i cittadini fino a renderli soggetti dotati di un patrimonio di intelligenza e capacità puramente individuali, senza guide, senza prospettive alte e senza senso civico.

E’ inutile girarci intorno: noi siamo un Paese tra i più ricchi di Europa che ha il più basso grado di moralità pubblica.

L’unico rimedio alla corruzione, dunque, non sta nei libri di scuola e neanche in una riforma della giustizia, ma in noi, in quello che vogliamo essere. Dobbiamo deciderci a pensare che senza doveri, senza sacrificio, senza una verità creduta e senza ideali, non esiste bene comune e non esiste ripresa economica e crescita di competitività, perché manca la visione del futuro. Una libertà senza contenuti sostanziali, infatti, edifica unicamente una democrazia corrotta e illegale che spinge non avanti ma indietro nella storia.

L'Italia e la corruzione

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