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Nel solo 2023 ci sono stati quasi cinquecento milioni di account finti rimossi a livello globale. Solo in Italia, i contenuti segnalati come fake news sono stati oltre sette milioni, e 45mila sono stati quelli rimossi perché in violazione degli standard delle piattaforme su cui comparivano. Sono solo alcuni dei dati che danno il segno del peso che la disinformazione ha nell’epoca digitale presentati nel corso dell’evento Definanziare la disinformazione, promosso alla Camera dei deputati dal Comitato atlantico italiano e da Balkan free media iniative. “La disinformazione è ormai il secondo pilastro, dopo le armi, del confronto internazionale”, ha sottolineato l’onorevole Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato e promotore dell’iniziativa. Per questo, ha continuato Cesa, “compito dei legislatori sarà aumentare le difese immunitarie del sistema Paese per resiste agli attacchi alla libertà e alla democrazia”. Una sfida che dovrà coinvolgere l’intera comunità internazionale, dato che tra l’altro a breve “quasi metà della popolazione mondiale andrà al voto; dobbiamo reagire facendo squadra”. Ci troviamo in una vera è propria “infodemia”, ha registrato Antoinette Nikolova della Balkan free media initiative, nella quale “le notizie girano a grande velocità, come i virus, e ne approfittano forze che vogliono influenzare le nostre opinioni per il loro interesse, che non è quello delle società democratiche”.

Ad illustrare i numeri è stato Alessio De Giorgi, responsabile comunicazione del Partito democratico europeo, che ha ripercorso l’evoluzione della minaccia della disinformazione all’interno delle nostre società. Proprio le prossime elezioni, in diversi Paesi, nell’Unione europea e le presidenziali degli Stati Uniti, dovrebbero allarmare circa l’urgenza di dotarsi di contromisure adeguate. “Le campagne di disinformazione hanno una proiezione molto reale” ha concordato l’avvocato Stefano Mele, del Comitato atlantico italiano, “durante il Covid è aumentato il consumo di vodka perché si pensava aiutasse contro il covid, e le fake news hanno avuto un impatto drammatico quando centinaia di cittadini hanno invaso il tempio della democrazia Usa a Capitol Hill”. La posta in gioco per le democrazie occidentali è allora “trovare il giusto equilibrio tra il contrasto alla disinformazione e la garanzia democratica della libertà di espressione” ha sottolineato il direttore di Formiche, Flavia Giacobbe, sottolineando come la “disinformazioni punti a disorientare le opinioni pubbliche, con una narrativa di sfiducia verso le istituzioni”.

Ma perché la disinformazione sembra essere così pervasiva? Una spiegazione sta anche nel sistema di finanziamento su cui le campagne di fake news si basano. Infatti, come ha spiegato Sarah Kay Wiley, del Check My Ads Institute, una società che controlla la pubblicità sul web, “la prima fonte di finanziamento dei media internazionali è la pubblicità”. Ma cosa succede quando le aziende vogliono fare pubblicità online? “A volte basta contattare le riviste online e, come per i media tradizionali, si ha la certezza di dove vanno a finire le Adv”. Invece a volte si possono usare algoritmi, che in base al monitoraggio delle proprie audience forniscono le pubblicità in maniera automatica “e spesso le aziende non sanno dove finisce la propria pubblicità” con il rischio che vadano a finanziare piattaforme di disinformazione. La credibilità di marchi riconosciuti, infatti, aumenta a sua volta la credibilità degli stessi siti che diffondono fake news.

Alcuni casi eclatanti di questo trend arrivano proprio dai Balcani, ha registrato Peter Horrocks, membro di Ofcom, l’ente regolatore delle comunicazioni britannico, e già direttore della Bbc. “Su alcuni media serbi e bulgari il 24 febbraio del 2022 girò la notizia che l’Ucraina aveva invaso la Russia. Recentemente, invece, in Serbia è girata la notizia che l’Occidente avesse ucciso Navalny”. Il problema è che notizie di questo genere possono avere un impatto profondo sulla fiducia delle istituzioni, ma definanziarle è molto complesso. “Nello spazio digitale è più difficile il controllo sulla qualità delle informazioni” ha detto ancora Horrocks. Questo richiederà una maggiore attenzione da parte delle aziende, che dovranno controllare dove finiscono le proprie pubblicità, e dei governi, che devono vigilare sulla trasparenza dei media nei loro Paesi.

In questo contesto si inserisce anche il Digital service act (Dsa) europeo che, come illustrato da Giacomo Lasorella, dell’Agcom, ha inserito delle linee guida per procedere a un assessment del rischio da parte delle piattaforme della diffusione di informazioni false o rischiose per il discorso pubblico. Le piattaforme, per esempio, sono chiamate ad avere personale adeguato a fare fact checking, gli account devono essere riconoscibili, e i messaggi politici a pagamento bene evidenziati. Altro problema rilevante è l’impatto dell’intelligenza artificiale nella diffusione di false notizie, come il deep fake. L’obiettivo del prossimo futuro, allora, è “togliere acqua a disinformazione e aumentarla all’informazione di qualità”, ha registrato Alberto Baracchini, sottosegretario di Stato con delega all’informazione e all’editoria.

Tutti i rischi della disinformazione. Dall’IA agli impatti sulle elezioni

Le democrazie devono costruire un sistema immunitario sempre più forte per resistere alle forze che attaccano i valori democratici anche utilizzando l’arma della disinformazione. Questo il tema al centro del convegno Definanziare la disinformazione, promosso dal Comitato atlantico italiano e dal Balkan free media iniative

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