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Non a caso – e se lo è, è davvero fortunato – Silvio Berlusconi ha rivendicato direttamente sul Giornale di famiglia, prendendosi il titolo più grosso della prima pagina, il carattere “moderato” suo e del suo movimento proprio mentre da Vienna provenivano, fra gli entusiastici commenti di Matteo Salvini in Italia, le notizie sulla vittoria della destra che più destra non si può nelle elezioni presidenziali. Che hanno spazzato via i partiti moderati e ridotto il prossimo ballottaggio ad una partita a due fra la stessa destra e i verdi, come se in Italia, fatte le debite differenze, la finale di un campionato politico, di qualsiasi livello, fosse fra i leghisti e i grillini.

E’ uno scenario, quest’ultimo, che potrebbe verificarsi, per esempio, nelle elezioni comunali di giugno a Roma, dove proprio Salvini, il Matteo della Padania, sogna ormai il ballottaggio fra la “sua” candidata a sindaco, che è la sorella dei  Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, e la candidata dei grillini, verdi di rabbia protestaria, che è Virginia Raggi. Uno scenario nel quale il segretario della Lega, il cui partito dispone a Roma di dimensioni da prefisso telefonico, spera che i “moderati” presenti negli altri schieramenti, cioè i sostenitori del berlusconiano Guido Bertolaso, di Alfio Marchini e del renziano Roberto Giachetti voteranno per disperazione, turandosi il naso e ogni altro buco del corpo, per la “sua” Meloni. Magari, come premio d’incoraggiamento alla sua maternità.

E’ proprio in considerazione di questo scenario di sapore un po’ austriaco che assume una certa importanza la decisione di Berlusconi di intervenire a gamba tesa contro le presunte rappresentazioni “caricaturali” della sua linea rivendicando, con la candidatura confermata di Bertolaso al Campidoglio, la natura “moderata”, “e non di destra”, del proprio progetto politico. E lo ha fatto anche a costo, forse, di mandare di traverso la saliva in gola al direttore del Giornale, i cui toni sono stati spesso molto poco moderati, riflettendo gli umori di quegli esponenti di Forza Italia del nord, da Paolo Romani a Giovanni Toti, dal solito veneziano Renato Brunetta a Daniela Santanchè, la “pitonessa” del movimento, che considerano un suicidio politico l’eventuale rottura, che potesse partire da Roma, con i leghisti. Il cui capo, peraltro, è arrivato negli ultimi giorni ad attribuire ben poco rispettosamente le impuntature di Berlusconi sulla candidatura di Bertolaso alle influenze non proprio politiche, o non del tutto politiche, della sua giovane, o troppo giovane, fidanzata Francesca Pascale. Una polemica d’indelicatezza tipicamente leghista, che giustifica il “troglodita” gridato in rete dalla stessa Pascale al Matteo della Padania.

Resta ora da vedere se, a poco più di un mese ormai dalle elezioni capitoline, o dal loro primo turno, e a pochi giorni dalla scadenza dei termini per la presentazione ufficiale delle candidature e delle liste, l’intervento di Berlusconi riuscirà a rivelarsi tempestivo e risolutivo. Se bloccherà, cioè, il processo di confusione o persino di dissoluzione innescatosi nel suo partito, o come altro egli preferisce chiamarlo, e che lui ha permesso di far crescere con troppi o troppo lunghi tentennamenti, sino a lasciare che via via se ne andassero esponenti minori e maggiori, in sede locale e nazionale.

I ritardi in politica sono spesso più di un errore. Sono un delitto.

Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè

Ecco come Silvio Berlusconi sul Giornale spiazza Alessandro Sallusti

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