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Mentre in Parlamento e sui giornali ogni giorno le forze politiche e il governo battagliano su referendum costituzionale e Italicum, sul territorio la guerra è portata avanti da due comitati che si combattono città per città, provincia per provincia.

Quello per il Sì si chiama “Basta un sì” e fa riferimento direttamente al Partito democratico: il manifesto è stato sottoscritto da gente come Sabino Cassese, Stefano Ceccanti e Carlo Fusaro. Quello per il No si chiama invece “Coordinamento democrazia costituzionale” ed è sostenuto dai costituzionalisti che si sono schierati contro la riforma, a cominciare da Gustavo Zagrebelsky, Massimo Villone e Alfiero Grandi. A numeri stanno vicini: circa 500 comitati sparsi in tutta Italia per il Sì e 400 per il No. In questi giorni l’impegno maggiore è la raccolta delle firme: entro il 15 luglio, infatti, entrambi devono presentare alla Corte di Cassazione le 500 mila firme necessarie non per il referendum (essendo confermativa la consultazione non ha bisogno di firme perché ne hanno già fatto richiesta un quinto dei membri della Camera) ma per essere i rappresentanti ufficiali del Sì e del No. Poco importante? Mica vero, perché solo così i due comitati otterranno un rimborso elettorale di 500 mila euro ciascuno, un euro a firma. E solo così avranno spazi garantiti nelle trasmissioni politiche nell’ultima fase della campagna, quando scatta la par condicio.

Al Sì mancano ancora cento mila voti, ha detto lo stesso Matteo Renzi nell’ultima direzione. Quindi allo stato attuale dovrebbero essere meno. 150 mila, invece, ancora le firme che mancano ai sostenitori del No. Ma per entrambi il raggiungimento dell’obbiettivo è alla portata e l’ultima settimana, questa che si apre, sarà cruciale. In Parlamento in questi ultimi giorni si sono visti addirittura deputati dem con i moduli in mano intenti a raccogliere firme tra colleghi e giornalisti, azione che ha suscitato qualche polemica tra i dipendenti di Montecitorio.

Intanto, però, il No ha subito una battura d’arresto: “Coordinamento democrazia costituzionale”, infatti, stava raccogliendo anche le firme per chiedere l’istituzione di un referendum abrogativo sull’Italicum, ma il risultato è andato fallito. “Ci siamo fermati a 420 mila firme e purtroppo non bastano”, ha annunciato lo stesso Villone. Una sconfitta che non sembra un buon viatico per avere successo sul resto. “All’inizio abbiamo peccato sicuramente di inesperienza. Noi siamo tutti volontari, non c’è nessuna struttura organizzata a sostenerci. Inoltre ci stiamo muovendo in un black out informatico pressoché totale. La stampa e i media locali, per esempio, non ci filano proprio. C’è un conformismo filogovernativo imbarazzante. E poi siamo stati penalizzati dalle amministrative: l’attenzione a giugno era tutta lì”, continua Villone. Che però guarda avanti. “Ormai la macchina organizzativa è rodata, siamo fiduciosi di raggiungere le 500 mila firme sul referendum, anche perché i rimborsi ci farebbero molto comodo, visto che ci stiamo auto finanziando la campagna. Ma non dimentichiamo che il nostro principale obbiettivo è vincere il referendum. La vera campagna inizia il primo settembre, ma bisogna arrivarci organizzati”, aggiunge.

E sul fronte opposto? Anche qui la campagna è partita a rilento, sempre a causa delle amministrative, ma ora la macchina si è rimessa in moto. Per organizzare un comitato bastano 5 persone, fino a un massimo di 50. “Vogliamo costituire una struttura capillare ma leggera, che si possa sciogliere il giorno dopo il referendum. Non vogliamo creare un partito nel partito”, fa sapere il dem Lorenzo Guerini. Detto questo, la campagna per il Sì potrà contare sulle sezioni locali del Pd e sulle feste dell’Unità che in estate sorgono un po’ ovunque. La cittadinanza del No, come chiesto dalla minoranza, è stata bocciata con un voto in direzione, quindi contro la riforma ci si potrà esprimere solo a livello personale, ma in nessun modo in rappresentanza del Pd. “La posizione del partito ì chiara. E la riforma è stata votata da tutti in Parlamento. Poi non possiamo vietare posizioni differenti a titolo personale”, puntualizza Guerini.

Al di là dei sondaggi, che nelle ultime settimane hanno visto aumentare i consensi per il No, il 15 luglio ci sarà il primo vero banco di prova per i due schieramenti con la consegna delle firme in Cassazione. “Se prima Renzi era sicuro di vincere, ora il vento è cambiato e non è più così. Lo vediamo anche dalla partecipazione e dall’interesse delle persone ai nostri banchetti”, sostiene Alfiero Grandi, tra i promotori del No. “A differenza di molti che hanno messo la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi, a noi interessa contrastare i contenuti della riforma”, continua.

Se uno dei due schieramenti non dovesse riuscire nell’impresa della raccolta firme, sarebbe un segnale preoccupante ai fini del risultato finale. Anche se, ricordano entrambi i comitati, l’obbiettivo principale è vincere il referendum, con o senza firme.

Maria Elena Boschi e Sabino Cassese

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