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Da qualche giorno circolano in rete alcune immagini che riprendono un convoglio di mezzi del cosiddetto Libyan National Army (Lna), ossia la milizia armata guidata dal generale Khalifa Haftar (l’uomo forte delle Cirenaica), lanciati in direzione di Sirte, la roccaforte libica dello Stato islamico. I mezzi, molto simili a quelli che Haftar ha ricevuto dieci giorni fa da qualche munifico e spensierato benefattore (che ha deciso di ignorare le sanzioni internazionali sulla vendita di armamenti in Libia, probabilmente passando dall’Egitto e dagli Emirati Arabi), si sarebbero raccolti ad Ajdabiya, la porta verso la Mezzaluna petrolifera, per poi muovere in modo coordinato verso ovest; Sirte dista circa 350 chilometri. Altre immagini mostrano la preparazione all’attacco di alcuni aerei da combattimento all’aeroporto di Benina, vicino Bengasi: è la stessa base controllata da Haftar, in cui avrebbero alloggio alcuni operatori della forze speciali francesi, inglesi, americane e forse anche italiane).

Va subito detto che le immagini potrebbero essere state riprese ovunque, se si volesse dare a video e foto un peso propagandistico (sebbene chi rilancia questi filmati sono osservatori affidabili).

Ci sono due generi di convergenze dietro alla vicenda. La prima riguarda un possibile raccordo tra queste unità partite da oriente e altre che arriverebbero da aree più sud, per ricongiungersi e lanciare insieme l’offensiva contro gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi. Ne parla per esempio l’account Twitter @FezzanLibyaMG, che segue costantemente le vicende della regione meridionale (quattro giorni fa Haftar s’è fatto fotografare con due referenti dell’Lna nel Fezzan, e si può pensare sia un segnale per la pianificazione anti-IS). Sempre i media del Fezzan danno anche informazioni sulla seconda convergenza (in realtà si tratta di conferme a quanto riferito da alcune fonti locali e da diversi analisti della crisi): le milizie del potente clan arabo Awlad Suleiman, che controllano Sebha, la più grande città del Fezzan, si ricongiungeranno con i miliziani alleati partiti da Misurata, la città/stato che maggiormente contribuisce al sostegno del nuovo governo di Tripoli, in una campagna avviata sempre in direzione di Sirte (il ricongiungimento dovrebbe avvenire a Jufra).

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Misuratini ad Abugrein, a metà strada verso Sirte. (Foto via @MENASTREAM)

L’aspetto cruciale della situazione, è proprio questa seconda convergenza, perché significa che forze partite dalla Cirenaica si troveranno in un campo di battaglia comune con quelle partite dall’area di Tripoli (con loro i rispettivi proxy meridionali: i Tebu con Tobruk, gli Awlad Suleiman con Misurata). Ossia, il premier designato dall’Onu Fayez Serraj affronta in questo momento quella che è la difficoltà più grossa per un leader che deve ricostruire un paese squarciato dalla guerra di milizie, mentre combatte lo Stato islamico: la concorrenza di quelle milizie su chi farà la guerra per primo all’IS. Considerando che i misuratini hanno da subito appoggiato Serraj, mentre da Tobruk gli uomini di Haftar, con il suo referente politico Agila Saleh, tengono in ostaggio un intero parlamento impedendogli di votare la fiducia che darebbe legittimazione definitiva al governo di Tripoli, nell’area di Sirte può succedere di tutto, compreso uno scontro tra le due forze libiche, mentre i baghdadisti stanno a guardare: un caos che farebbe soltanto il gioco dello Stato islamico, che ha dimostrato già altrove (Iraq, Siria, Yemen, e anche in Libia) di sfruttare la polarizzazione come arma a proprio favore. Per questo il Consiglio presidenziale, l’organo semi-esecutivo che Serraj dirige in attesa di quel definitivo avallo politico, giovedì ha chiesto di bloccare ogni attività “fin quando non verrà nominato un comando congiunto per l’offensiva”. Attualmente, è più probabile che si fermi il convoglio da Misurata piuttosto che quello dalla Cirenaica.

Mezzi di Haftar, probabilmente diretti a Sirte (Foto
Mezzi di Haftar, probabilmente diretti a Sirte. (Foto via @LibyasChannel)

Dietro alla missione contro lo Stato islamico c’è molta propaganda: come detto, non ci si dovrebbe stupire se quelle immagini e quelle informazioni fossero state architettate ad uopo. Entrambe le parti, i misuratini pro-Serraj e i cirenaici di Haftar sanno che chi combatterà e scaccerà il Califfato dalla Libia, avrà un ruolo centrale nel futuro del paese, non fosse altro in termini di rappresentanza internazionale. Haftar e la Cirenaica hanno da tempo dimostrato intenzioni federaliste, stanno stampando moneta al di fuori delle direttive della Banca Centrale libica e cercano di vendere petrolio indipendentemente scavalcando la Noc (la società nazionale). A coprir loro le spalle, Egitto ed Emirati Arabi: in più c’è la sponda di Parigi, che passa da quegli stessi alleati economici regionali (egiziani ed emiratini hanno firmato con l’industria della difesa francese contratti miliardari), ma non è sola. Da qualche tempo aleggia nelle stanze diplomatiche occidentale la possibilità di usare le pretese del generalissimo della Cirenaica come un “piano B” per risolvere la situazione dello Stato islamico, se dovesse fallire il progetto-Serraj. I baghdadisti libici sono in flessione, vivono un momento di debolezza dovuta anche alle difficoltà incontrate nel fare attecchire le proprie istanze tra i libici (come ha spiegato in un bel reportage la Reuters due settimane fa) e vanno colpiti adesso: lo sanno a Misurata, a Tobruk, come alla Casa Bianca e nelle cancellerie europee.

Intanto, giovedì, in audizione alla Commissione Armed Service del Senato americano, il capo delle forze armate Joseph Dunford, ha comunicato ai legislatori che il Pentagono ha aumentato le risorse ad AfriCom, il comando Africa che si occupa anche di Libia, per le attività di sorveglianza sopra al suolo libico. Si raccolgono informazioni per successivi attacchi. È molto probabile che basi aeree italiane, tra Pantelleria, Catania e Sigonella, siano coinvolte nelle missioni americane.

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