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Una delle certezze con cui si chiude la giornata del 28 febbraio è che nell’analisi sul voto in Iran tutti hanno cercato alla fine di proclamarsi vincitori, con il risultato di una profonda confusione.

Hanno dichiarato vittoria i conservatori iraniani, cercando di far passare come parte di un loro entourage esclusivo i molti parlamentari principalisti, di area centrista e conservatrice vicini a Hassan Rouhani, eletti nei ranghi delle liste che lo sostenevano.

Hanno dichiarato vittoria i riformisti, cercando anch’essi di legare indissolubilmente il proprio nome a quello delle stesse forze principaliste, attribuendogli di volta in volta nomi come “moderati” o “non radicali”, nell’ottica in tal modo di assimilarli al proprio ambito di appartenenza.

E si sono dichiarati vincitori di fatto anche i pragmatici, utilizzando lo stesso stratagemma, cercando di forgiare ambiti di appartenenza in realtà alquanto improbabili.

La realtà dei fatti, almeno alla luce dei dati diramati sinora è che a vincere queste elezioni sono invece in primo luogo i principalisti, che rappresentano un grande quanto eterogeneo insieme politico di ispirazione conservatrice, fortemente maggioritario verso posizioni centriste. Un insieme politico che unisce – non senza conflitti – sia i conservatori di area tradizionale che quelli di ispirazione liberale, costruendo un ponte ideologico alquanto interessante in questa delicata fase di transizione generazionale dell’Iran.

Sono loro il vero ago della bilancia nel Paese e hanno dimostrato di possedere una maturità politica che gli permette oggi di essere in modo compatto uniti nel sostenere al tempo stesso non solo il presidente Rouhani, ma anche i valori fondanti della Repubblica Islamica e della sua indipendenza.
Non è un assegno in bianco quello che danno al presidente, tuttavia, e chiedono certezze in termini di sviluppo economico e crescita nelle relazioni internazionali, senza tuttavia rinnegare la propria identità rivoluzionaria ed islamica.

La débâcle interpretativa occidentale

Se la corsa al saltare sul carro del vincitore può essere compresa ed entro certi margini giustificata in Iran, desta stupore come la stampa occidentale si sia sbilanciata quasi immediatamente nell’affermare che la vittoria di queste elezioni sia state unicamente per le forze riformiste.

La gran parte delle agenzie e delle testate straniere ha citato sin dalle prime ore del 28 mattina i dati e le valutazioni di un giornale online iraniano di orientamento marcatamente riformista, Etemad, dando totale credito a quanto affermato sulle pagine del giornale e di fatto accettando l’interpretazione secondo la quale chiunque sostenesse Rouhani dovesse essere considerato come un riformista.

A rincarare la dose interpretativa ci hanno poi pensato molti esponenti della diaspora iraniana, nella tradizionale tendenza a confondere i propri desiderata politici con la realtà di ciò che accade nel proprio paese, aumentando il tal modo la diffusione di una valutazione ancora di fatto in fieri e certamente approssimativa nel corso della giornata ormai trascorsa.

Ancora una volta lo stereotipo interpretativo della complessa realtà politica iraniana viene quindi ridotto al binomio elementare di riformisti e conservatori, alter ego di buoni e cattivi, o meglio ancora nel caso iraniano di “nemici” e “nemici dei nemici”.

L’enorme – e maggioritario – spettro politico ed ideologico che si colloca tra le posizioni dei riformisti e degli ultraconservatori, fatto di pragmatici, principalisti, nazionalisti, tradizionalisti, indipendenti, ecc. viene in tal modo annullato d’un colpo e ridotto alla mera appartenenza ad uno dei due schieramenti elementari, vanificando qualsiasi sforzo per comprendere la reale portata del voto e l’orientamento complessivo di quegli oltre 30 milioni di iraniani che si sono recati alle urne.

Chi ha vinto le elezioni?

Il quadro complessivo e definitivo delle elezioni parlamentari si potrà avere tra qualche settimana, forse anche un mese, quando saranno organizzati e conclusi i ballottaggi necessari all’assegnazione di quei circa 80 seggi dove non è stato raggiunto lo sbarramento del 25%.

La restante parte del Parlamento vede una prevalenza di forze riconducibili all’area principalista, seguiti da riformisti, pragmatici, indipendenti e ultraconservatori, suddivisi in liste ed alleanze pre-elettorali che premiano senza alcun dubbio la linea politica del presidente Rouhani e del suo governo.

A vincere sono quindi in massima parte le forze centriste, di diverso orientamento ideologico tra loro ma unite dal comune interesse a sostenere le linee di politica economica e politica estera dell’attuale esecutivo. Un sodalizio importante, certamente, ma non certo tale da poter individuare una complessiva comunanza di visione tra tutte le componenti che ne fanno parte.
Accomunare principalisti e riformisti nell’ambito di un identico gruppo politico e ideologico è quindi un grossolano errore, e rischia di frustrare le aspettative di chi ritiene che il prossimo parlamento possa favorire mutamenti epocali nella politica iraniana.

Altro elemento da non trascurare è la lettura complessiva ed organica dei dati elettorali. La stampa internazionale si è giustamente interessata alle dinamiche di voto nella città di Teheran, attribuendo tuttavia agli 8 milioni di elettori della capitale un peso eccessivo rispetto ai 55 milioni di aventi diritto dell’intera nazione.

Se quindi il dato elettorale di Teheran ha confermato la vittoria della coalizione principalista, riformista e pragmatica che sostiene Rouhani, portando in parlamento 30 candidati su 30, il dato nazionale ha invece mostrato nelle città minori e nelle aree rurali una maggiore dispersione del voto, con la crescita dei conservatori tradizionali e degli indipendenti.

In conclusione, quindi, queste elezioni dimostrano come l’elettorato iraniano – a dispetto delle molte squalificazioni pre-elettorali operate dal Consiglio dei Guardiani soprattutto a danno dei candidati riformisti – abbiano voluto premiare le forze politiche che hanno saputo caratterizzarsi per moderazione, capacità politica e sviluppo dell’economia, favorendo una netta vittoria delle forze centriste e consolidando il ruolo dell’esecutivo e del presidente Rouhani.

Il voler necessariamente ricondurre queste forze ad ambiti definiti come “riformisti”, o comunque “moderati”, ha creato una grande confusione interpretativa, che non può tuttavia nascondere la reale collocazione della gran parte dei candidati eletti e del generale orientamento dell’elettorato iraniano.

qatar

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