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Con le loro dichiarazioni, sia in Parlamento che al Convegno “Previdenza ed Economia Reale”, tanto il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan sia il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, hanno riaperto il tavolo della riforma della previdenza. Si è subito inserito il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, con una delle sue ormai consuete frasi ad effetto e di immediata presa mediatica, in base alla quale i trentacinquenni di oggi, a regole immutate, andrebbero in quiescenza a 75 anni.

Ma è proprio Boeri che rischia di non essere invitato al tavolo. Afferma di avere accettato la carica di Presidente dell’Inps nell’assunto che l’istituto potesse avere un ruolo propositivo. Ma in vari ambienti di Governo e Parlamento si pensa che sia un po’ troppo propositivo (parte delle sue proposte vengono smentite nella loro fattibilità dai suoi stessi collaboratori quando chiamati in audizioni in sedi istituzionali) e troppo poco incisivo sul funzionamento dell’Inps, specialmente in questa fase di aggregazione di altri istituti come Inpdap ed Enpals.

Non solo i pensionati protestano perché non riescono ad accedere ai documenti per far fronte ai loro obblighi tributari, ma la “irresistibile ascesa” dei “residui attivi” mostrano un ente il cui ispettorato e la cui avvocatura paiono allo sfascio (dato che non riescono a far incassare i versamenti dovuti) . Il Ministro vigilante Poletti ha più volte preso le distanze dalle proposte del Presidente dell’Inps e un altro bocconiano, l’economista Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presenza del Consiglio, non sembra disposto a spendersi per il suo collega di facoltà. In effetti, si pensi al ruolo di Gianni Billia nella riforma del 1995 – i Presidenti dell’Inps sono stati tanto più efficaci quanto più hanno distillato i loro consigli in estrema discrezione, mostrando, al tempo stesso, grande attenzione al funzionamento della “fabbrica delle pensioni”. Comunque, se Boeri verrà o non verrà invitato al tavolo della riforma è materia che interessa principalmente lui.

Prima di decidere chi verrà chiamato a collaborare alla prossima riforma, il Governo deve scogliere il nodo essenziale di politica previdenziale: se fare interventi al margine, come nelle sette riforme varate in Italia negli ultimi vent’anni, oppure concepire interamente un nuovo sistema sulla base non scenari non prevedibili nel 1995, quando Italia e Svezia (nonché i Paesi che a esse si sono ispirati) sono passati da metodi di calcolo (per le prestazioni) basati sulle retribuzioni percepite a quelli basati sui contributi versati e sono nel lungo periodo, in una posizione migliore di molti altri Paesi europei.

E’ difficile pensare che si possa concepire un nuovo sistema senza l’apporto dei gruppi intermedi e delle parti sociali, guardando a quello che saranno l’economia italiana e il mercato del lavoro del futuro.

Che cosa combineranno Inps e governo sulle pensioni

Con le loro dichiarazioni, sia in Parlamento che al Convegno "Previdenza ed Economia Reale", tanto il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan sia il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, hanno riaperto il tavolo della riforma della previdenza. Si è subito inserito il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, con una delle sue ormai consuete frasi ad…

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