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L’America conservatrice si sta assuefacendo all’idea che un miliardario stravagante e populista come Donald Trump possa essere il candidato repubblicano alla Casa Bianca, dopo avere accettato l’idea che potesse davvero essere un aspirante alla nomination (e non solo una macchietta di cui scandalizzarsi, ma anche con cui divertirsi, nel pre-partita, ma poi destinata a uscire di scena). Resta da vedere se l’America nel suo insieme si abituerà all’idea che Trump possa diventare il presidente degli Stati Uniti.

Ma questo è un altro capitolo della campagna che si comincerà a scrivere dopo le convention, in estate, quando le eliminatorie di partito saranno finite e si preparerà la finale per il titolo, che si giocherà l’8 novembre.

Invece, l’idea che Hillary Clinton possa essere la candidata democratica e pure il futuro presidente è radicata nell’Unione da almeno otto anni. Per l’ex first lady, ex senatrice, ex segretario di Stato, e pure ex aspirante alla nomination, la difficoltà è piuttosto convincere gli americani che questo non è un film già visto.

L’accettazione, certo non sempre entusiasta, spesso rassegnata, o insofferente, dell’idea di Trump candidato è un corollario dell’esito delle primarie di New York, che hanno dimostrato la sua forza (e anche la debolezza dei suoi rivali). Mentre perde credibilità l’ipotesi di ribaltare l’andamento delle primarie, un inverno e una primavera di voti ovunque nell’Unione, con una sorta di “congiura di palazzo” alla convention, tirando fuori dalla manica del partito un asso più o meno vero. Anche perché di assi ce ne sono pochi in giro, dopo che Mitt Romney e Paul Ryan, ammesso che lo siano, si sono sfilati, ormai, s’è instillato il dubbio che la ‘matta’ che è Trump valga più di qualsiasi asso e possa sparigliare il gioco.

Intanto, la campagna è già altrove, dopo le primarie di New York: soprattutto in Pennsylvania, dove si vota martedì prossimo 26 aprile – è il giorno della Costa Est, con Connecticut, Rhode Island, Delaware e Maryland –. Trump e la Clinton partono favoriti in Pennsylvania, lo Stato più popoloso del lotto, ma devono lo stesso dribblare qualche difficoltà.

Il magnate dell’immobiliare, alle prese con l’ennesima polemica – s’è ora scoperto che la licenza d’uno dei suoi aerei non è in regola – sta cercando di rendere più presidenziale la sua immagine, senza però tradire il suo pubblico: in un’intervista a Fortune, dà il suo ok ai tassi d’interesse bassi della Fed, ma ne boccia la responsabile Janet Yellen, di cui annuncia il siluramento – sempre che lui diventi presidente –.

Anche Hillary ha i suoi problemucci: ieri diversi manifestanti afroamericani sono stati scortati via da un suo comizio nel nord di Filadelfia, dopo avere gridato di non votare per lei che “sta uccidendo il popolo nero”. Qualche tempo fa, sempre a Filadelfia, suo marito Bill, l’ex presidente, era stato affrontato da alcuni contestatori per la legge sul crimine varata quand’era alla Casa Bianca.

Ma Bernie Sanders, il rivale della Clinton, sta messo peggio: è indietro nei sondaggi, ha perso l’economista Jeffrey Sachs – l’uomo che gli aveva aperto le porte del Vaticano la scorsa settimana e che ora lo lascia per evitare conflitti d’interesse con il lavoro di consulente dell’Onu – e si irrita perché una maglietta lo associa, lui “socialista”, ai grandi leader del comunismo di tutti i tempi.

Repubblicani, l'America s'è assuefatta a Trump candidato

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