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Donald Trump stravince, Hillary Clinton vince bene: le primarie nello Stato di New York premiano i favoriti della vigilia e la Grande Mela sceglie i suoi figli più schietti fra i candidati alla nomination, anche se Bernie Sanders, protagonista di una campagna a tratti entusiasmante, non ne esce troppo male e resta in corsa.

Fra i repubblicani, Trump arriva al 60% dei suffragi, davanti al governatore dell’Ohio John Kasich al 25% e al senatore del Texas Ted Cruz, che qui non ha mai ingranato, al 15%. Come delegati, Trump incassa quasi la totalità di quelli in palio, una novantina e s’avvicina a quota 850, ma gli sarà difficile arrivare ai 1.237 necessari, perché i delegati ancora in palio sono poco più di 700. Lo conforta, però, l’ennesimo sondaggio che indica come sette elettori repubblicani su 10 ritengano che la nomination debba andare a chi ha raccolto più voti nelle primarie, senza giochetti di partito in una eventuale “convention aperta”.

Fra i democratici, l’ex first lady è al 58%, Sanders al 42%: i pronostici, questa volta, sono stati rispettati. Tradotto in delegati, il risultato appare meno netto, ma i calcoli sono ancora in corso: circa 150 a circa 100. Hillary rimpingua il suo bottino e s’avvicina a quota 2000, ma gliene servono ancora oltre 400 per arrivare ai 2.394 che garantiscono la nomination.

La battistrada interrompe il filotto di vittorie del rivale – otto in serie che, però, messe insieme valgono a stento, in termini di voti e di delegati, il solo Stato di New York – e guarda con ottimismo alle prossime tappe, che le sono sulla carta favorevoli: martedì prossimo si vota in Pennsylvania, Connecticut, Rhode Island, Delaware e Maryland, tutti Stati della Costa Est, dove Hillary dovrebbe andare bene e avvicinarsi ulteriormente alla soglia della nomination.

Che la notte di New York fosse grama per Sanders, l’aveva lasciato intuire la decisione del senatore di non attendere i risultati e di raggiungere la Pennsylvania, per iniziarvi la campagna: di lì, s’è congratulato con Hillary per il suo successo, senza manifestare propositi di abbandono; anzi, ho ancora delle “possibilità”, ha detto.

La fiammata d’entusiasmo dei suoi sostenitori a Brooklyn, dov’è nato, quando il distacco appariva contenuto negli spogli iniziali, lasciando ancora sperare nello “sgambetto”, s’è rapidamente spenta, mentre s’accendeva quello dei fan di Hillary, che si sono radunati vicino a Times Square, la piazza delle feste di Manhattan.

Invece, la gioia davanti a Trump Tower non è mai stata scalfita da incertezze. “Grazie New York, è stata una notte incredibile […] Insieme, faremo l’America di nuovo grande”, è stato il messaggio del magnate dell’immobiliare ai suoi sostenitori; e poi gli altri suoi slogan su economia, Obamacare, immigrazione. Erano almeno 40 anni che le primarie repubblicane a New York non pesavano così tanto: questo è uno Stato che l’8 novembre voterà quasi certamente democratico.

Hillary replica a Trump a distanza: “Gente come Trump e Cruz spinge verso un’America divisa e francamente pericolosa. Invece di costruire muri, noi abbatteremo le barriere. Nessuno in America deve vivere con lo spettro della discriminazione e della deportazione. Bisogna aiutare le persone e aiutarci l’un l’altro, gay, musulmani, uomini e donne”. E l’ex first lady ha una nota sentimentale: “Non c’è nessun posto come casa propria. Grazie, New York”.

Gli elettori dello Stato sono andati alle urne pensando soprattutto all’economia. Per la Clinton, hanno votato Woody Allen e molti altri intellettuali “liberal”, oltre che neri e ispanici. Per Sanders, protagonista di bagni di folla memorabili a Manhattan e a Brooklyn, soprattutto i giovani, le donne, la classe media. L’effetto Vaticano, invece, non c’è stato, o almeno non è stato evidente: l’incontro con Papa Francesco, sabato mattina, non è stato una svolta.

Non tutto è filato liscio ai seggi: ci sono state centinaia di denunce d’irregolarità e lamentele, mai così tante negli ultimi anni. Segno, anche, dell’interesse e della partecipazione con cui il voto è stato vissuto.

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