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Cosa si aspetta dal Consiglio supremo di difesa?

Mi auguro che il Consiglio supremo di difesa sotto la guida del presidente della Repubblica Sergio Mattarella confermi la decisione italiana di utilizzare i droni da combattimento. Penso che sia indispensabile che l’Italia faccia parte della partita. Ed è indispensabile perché queste sono missioni di difesa degli interessi nazionali anche dell’Italia. Visto che Daesh si sta espandendo per poi venire a colpirci, non sono missioni di offesa. È pura materia di difesa nazionale. È la difesa preventiva di un interesse vitale. Per cui: conferma della decisione del governo sui droni e rinnovamento del sostegno a una missione integrata in cui alcuni Paesi, sotto coordinamento italiano, si prendano in carico alcune sfide del domani: l’institution building, la formazione militare, truppe scelte che aiutino le forze regolari libiche contro i terroristi ed evidentemente la presenza di forze speciali che in Libia già ci sono. Mi auguro che il Consiglio supremo di difesa confermi che queste sono scelte giuste e che si devono portare avanti.

Quindi se non dovesse concretizzarsi un governo di unità nazionale libico ritiene indispensabile un intervento nell’area?

Mi ha colpito molto e condivido quanto detto dal portavoce dell’amministrazione Obama quando ha affermato che si ritiene che ci sia bisogno di un governo di unità nazionale per una missione in senso proprio. Questo è giusto. Vale anche per l’Italia, in cui se non c’è un governo in senso proprio e se non c’è una risoluzione del Consiglio di sicurezza abbiamo dei problemi anche di ordine costituzionale. Ma se ciò non accade e nel frattempo Daesh prospera, dobbiamo comunque agire, come ha detto il portavoce della Casa Bianca. Mi rendo conto che è qualcosa di difficile, ma colpire le basi Daesh è indispensabile. Ecco perché i droni da combattimento devono essere autorizzati.

Un’autorizzazione generale o caso per caso?

Ho visto che il governo si orienta all’autorizzazione caso per caso. Quest’esperienza la conosco bene perché anche in Iraq e in Afghanistan in alcuni casi autorizzavamo caso per caso nel teatro di cui eravamo responsabili – penso ad Herat – delle azioni della coalizione. Ad esempio nel 2011 avevamo uno scrutinio preventivo delle missioni, anche quelle con aerei da combattimento italiani; potevamo addirittura bloccare l’intervento degli altri. Quindi anche allora si decideva caso per caso. La mia esperienza mi dice che il caso per caso si scioglie in sette-otto minuti, quindi è ben possibile conciliare l’autorizzazione ai droni da combattimento caso per caso con la rapidità dell’iniziativa. Si è fatto in passato quindi è logico farlo anche adesso.

E se ci fosse un intervento Nato?

Ci sono strutture Nato che sono pronte. In questo caso, essendo Sigonella una base già adibita alle forze Nato, non servirebbe più l’autorizzazione caso per caso.

Spostandoci un po’ più a est, c’è una questione che sta mettendo a rischio un’amicizia storica del nostro Paese, quella con l’Egitto. Cosa pensa della situazione?

Credo che l’Egitto sia il principale interessato a darci tutta la verità sull’assassinio di Giulio Regeni. Per tre motivi. Primo perché l’Italia è un Paese amico che, tra l’altro, sotto il profilo economico sarà portatore di una iniziativa che darà all’Egitto un enorme profitto, perché i giacimenti off shore li ha scoperti l’Eni. Abbiamo una posizione che sta portando e porterà enormi vantaggi economici; inoltre, siamo il principale partner e non abbiamo mai abbandonato l’Egitto anche nei momenti più difficili – ricordiamoci che Renzi è volato da Al Sisi quando gli americani neanche ci parlavano – e queste cose Al Sisi non le può dimenticare. Secondo perché se dicesse tutta la verità – ad esempio che c’è stato uno scontro tra servizi deviati, che questo è stato fatto intenzionalmente perché alcune parti vogliono mettere in cattiva luce il governo, che ci sono stati elementi deviati della polizia che hanno colpito pensando che Regeni fosse una spia o che ci siano stati elementi collegati a un ambiente fondamentalista – dimostrerebbe di essere un Paese non solo stabile ma anche capace di attuare lo stato di diritto. Terzo, perché se non lo facesse prevarrebbero le voci di coloro che ritengono il passaggio da Morsi ad Al Sisi una degradazione del sistema e non un cambiamento voluto dal popolo. E non credo che al Sisi abbia interesse a che si dica che ha instaurato un regime che chiude la bocca agli investigatori.

Cosa deve fare l’Italia?

Noi ovviamente non possiamo mollare la presa perché è chiaro che se viene ucciso un ricercatore che studiava il sindacalismo libero – ammesso che ci sia in Egitto un sindacalismo libero – quale messaggio diamo a un imprenditore italiano che vuole investire o continuare a investire in Egitto? Quello degli imprenditori è un interesse che l’Italia deve assolutamente tutelare e se vogliamo è una quarta ragione per al Sisi affinché venga fatta chiarezza. La grande amicizia che abbiamo verso il popolo egiziano a un certo punto deve avere un contrappeso in quello che il governo egiziano fa per tenersi questi amici, perché gli amici non si trattano così.

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