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Nuovo test per la sinistra in America latina. Questa volta il turno è della Bolivia di Evo Morales, al potere dal 2006. Dopo la vittoria di Mauricio Macri in Argentina e il risultato delle elezioni legislative in Venezuela a favore dell’opposizione, è la volta del Paese andino, che dovrà decidere se riformare la propria Costituzione per dare un’altra opportunità al presidente per presentarsi alle elezioni presidenziali. La Costituzione boliviana prevede soltanto tre mandati, ma Morales ne vuole un quarto.

SCANDALI E INDAGINI

Secondo Alvaro Vargas Llosa, scrittore, figlio del premio Nobel per la Letteratura, Mario Vargas Llosa, i simpatizzanti di Morales sono preoccupati. Gli ultimi sondaggi indicavano un pareggio tecnico. Recenti scandali di corruzione e scontri tra governo e gruppi sindacali non giocano a favore. L’indagine per corruzione e traffico di influenze collegata a un’impresa cinese fornitrice dello Stato e molto vicina al governo si è aggiunta agli scandali di concentrazione di potere e malversazione di fondi degli ultimi mesi.

RETORICA ANTI-YANKEE

“Una buona forma di sapere se i ‘bolivariani’ sono in difficoltà è misurare il grado di anti-imperialismo yankee che esibiscono alla vigilia elettorale – si legge sul blog di Alvaro Vargas Llosa -. Il governo di Evo Morales, che domenica si metterà a prova in un referendum con i quali i boliviani dovranno decidere una riforma costituzionale per fare in modo che il presidente si presente nel 2019 ad un quarto mandato, ha intensificato nelle ultime ore la campagna contro Washington. Brutto segnale per loro”.

LA RIFORMA COSTITUZIONALE

Circa sei milioni di boliviani dovranno approvare l’emendamento costituzionale. La proposta presentata dall’Assemblea nazionale – di maggioranza governativa – resta un meccanismo della democrazia diretta. Dal 2009, quando è stata approvata l’attuale Costituzione, i movimenti sociali e popoli indigeni (che in Bolivia sono più del 70% della popolazione) sono per la prima volta rappresentati costituzionalmente. Quello che si chiede la stampa locale e internazionale è se era davvero necessaria una riforma costituzionale o se si tratta di una strumentalizzazione politica.

DEMOCRAZIA DITTATORIALE?

“Con questo referendum i boliviani non dovranno decidere se Evo Morales sarà presidente fino al 2025, ma dovranno decidere se autorizzano o no la sua candidatura nel 2019”, ha detto l’analista politico ed ex ministro Hugo Moldiz. Lui, che ha fatto parte del governo di Morales, crede che non c’è bisogno di cambiare progetto se fino ad ora il Paese sta meglio. Per l’economista ed ex parlamentare boliviano Carlos Borth, “la riforma è viziata per fare candidare gli stessi personaggi che sono al potere dal 2006. Un sistema che potrebbe diventare una “democrazia dittatoriale””.

L’USO DEI REFERENDUM

I referendum sono molto utilizzati in America latina. Negli ultimi anni sono stati incorporati come meccanismi di democrazia diretta in Uruguay, Ecuador, Venezuela, Colombia, Bolivia, Perù, Costa Rica e Nicaragua, con risultati molto diversi. Il presidente venezuelano Hugo Chavez, per esempio, tentò una riforma costituzionale nel 2007 per potere presentarsi a un terzo mandato, ma la consulta popolare ha respinto l’emendamento. L’anno successivo però Chavez fece la riforma lo stesso con un decreto presidenziale.

LA FINE DEL POPULISMO (FORSE)

Alleati regionali di Morales, come Rafael Correa in Ecuador, hanno deciso d ammorbidire la retorica “bolivariana” nel tentativo di gestire la crisi economica del Paese.

“L’America latina vede finalmente la luce alla fine del tunnel populista, in parte per stanchezza popolare, in parte per l’anti-climax economico – sostiene Alvaro Vargas Llosa -. La Bolivia sarà questo fine settimana il seguente Paese in confermare il declino di questa tendenza o il primo in molto tempo a ricordare che conserva molto potere e può continuare a vincere”.

Le vere partite del referendum in Bolivia

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