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Nikita Kamaev, ex capo dell’agenzia antidoping russa Rusada, è morto lunedì per un probabile arresto cardiaco. “Un massiccio attacco di cuore”, questa la dichiarazione riportata nel comunicato stampa ufficiale, lo ha ucciso. Kamaev si era dimesso dal suo ruolo soltanto due mesi fa: era finito invischiato nello scandalo che aveva colpito lo scorso novembre l’intera federazione di atletica leggera, rea di aver fatto parte di un sistema definito “doping di Stato“; un rapporto dell’agenzia internazionale Wada aveva denunciato l’uso sistematico di sostanze dopanti in Russia, prassi coperta dalle istituzioni (in cima alla lista, il ministro dello Sport Vitaly Mutko), tanto che l’intera federazione è stata squalificata dalla competizioni.

Kamaev era uscito per fare sci di fondo poco fuori Mosca, poi appena tornato a casa si è sentito male ed è morto, stando ai racconti stando a quanto scritto dalla BBC. Era in perfetta salute, è stato lo stesso ministro Mutko a dichiararlo. Aveva 52 anni: la sua morte arriva appena due settimane dopo quella del presidente fondatore di Rusada, Vyacheslav Sinev (morto il 3 febbraio, aveva lasciato l’organizzazione nel 2010).

Quella di Kamaev e di Sinev non è la prima delle morti improvvise tra importanti dirigenti del sistema statale russo. Il 5 gennaio il capo dei servizi segreti militati (GRU) Igor Sergun è venuto improvvisamente a mancare all’età di 58 anni. Il 27 dicembre 2015 stessa sorte toccò al generale Alexander Shushukin, comandante dei paracadutisti, tra i protagonisti della presa della Crimea: aveva 52 anni. A novembre 2015, Mikhail Lesin, 57 anni, ex ministro per l’Informazione, capo del reparto media di Gazprom e fedelissimo di Putin, è stato trovato morto in un hotel di Washington.

Tutti decessi che hanno colpito notabili precedentemente in piena salute.

 

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