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Cambio di scena: dallo Iowa rurale, nel MidWest, al New Hampshire liberal, lo Stato del Granito, nel Nord Est del New England. Sono già tutti lì, almeno quelli che contano e che ancora ci credono: Donald Trump ha catechizzato nelle ultime ore i suoi volontari (e se l’è al solito presa con i media); Jeb Bush è stato raggiunto da Mamma Barbara; Bernie Sanders ha raccolto in poche ore tre milioni di dollari, segno che i suoi sostenitori sono galvanizzati.

Dopo avere speso in Iowa più tempo di quanto non avrebbero mai desiderato – per fare due esempi, 140 visite Sanders, 104 Hillary Clinton -, gli aspiranti alla nomination per la Casa Bianca, democratici e repubblicani, hanno lasciato lo Iowa, in questi giorni un’unica distesa di neve e gelo: due di essi ci torneranno per fare campagna fra otto mesi, dopo le convention; gli altri, forse, non ci torneranno mai più, lo hanno ormai visto in lungo e in largo.

Nello Iowa, fra i democratici, c’è stato un equilibrio non aritmetico, ma sostanziale: la Clinton (49,8%) e Sanders sono risultati alla fine divisi da uno scarto dello 0,3%, il che consente all’ex first lady di cantare vittoria e al senatore del Vermont di dichiarare “un pareggio virtuale”. In qualche assemblea, è stata la monetina del sorteggio a dare il successo all’una o all’altro. C’è chi evoca una verifica, di fatto impossibile perché il voto avviene per crocchi – il più numeroso vince – e non per schede. I dati confermano che i giovani hanno preferito Sanders – ben quattro su cinque – e le donne di misura la Clinton.

Fra i repubblicani, vincono Ted Cruz, che è primo, e pure Marco Rubio, che è terzo. Perde di sicuro Trump: l’Iowa per lui è una campagna di Russia dove il magnate dell’immobiliare lascia, tra la neve e il gelo, l’aura di sicumera e di imbattibilità che s’era costruito con il suo stile aggressivo e urticante. Il Daily News già lo liquida come “dead clown walking”, bruciando i tempi. E lui ammette che l’avere saltato l’ultimo dibattito in diretta televisiva con i suoi rivali, per uno screzio con la Fox, può essergli costato caro.

La gente dello Iowa ce l’ha, da sempre, con i battistrada, quelli troppo sicuri di sé o troppo forti; e, spesso, li castiga. Talora, sono lezioni che lasciano il segno: nel 2008, Hillary Rodham Clinton perse e non si risollevò più. Talora, sono batoste d’un giorno: nel 2012, Mitt Romney fu battuto, ma poi ottenne la nomination.

Che cosa comporti il risultato di lunedì per Trump è difficile dirlo: lo showman ne esce con la coda fra le gambe, anche se non lo ammette, ma non ha ancora esaurito il suo repertorio. Cruz e Rubio emergono come candidati possibili dei Tea Party e degli evangelici (il senatore del Texas) e dell’establishment repubblicano moderato (il senatore della Florida). Rubio in particolare è ormai destinato ad assumere a pieno il ruolo che i pronostici attribuivano a Jeb Bush, l’ex governatore della Florida, ancora una volta deludente (ma non rassegnato: afferma che “la vera corsa comincia ora”).

Il quarto uomo repubblicano è per ora un ‘Mister X’, che potrebbe farsi largo fra la mezza dozzina di comprimari più o meno folkloristici, dal guru nero Ben Carson, ex neurochirurgo, che dà però l’impressione di non crederci –parte per la Florida invece che per il New Hampshire, spiegando “lì fa più caldo”, allo stesso Jeb, passando per i governatori del New Jersey Chris Christie e dell’Ohio John Kasich, senza dimenticare, per cavalleria, l’unica donna, Carly Fiorina.

Le assemblee dello Iowa, i caucus, che aprono la stagione delle primarie per designare i candidati dei due maggiori partiti alla Casa Bianca, in vista delle convention di luglio e dell’Election Day dell’8 novembre, creano sorprese – la sconfitta di Trump è inattesa – e fanno vittime: si ritirano così il democratico Martin O’Malley, ex governatore del Maryland, sempre irrilevante nei sondaggi e ora pure nei voti ; e l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, che nello Iowa vinse nel 2008 (questa volta, ha preso il 2% dei voti e nessun delegato).

I risultati dello Iowa ricevono un’attenzione persino sproporzionata al loro peso effettivo: assegnano infatti solo 44 delegati democratici (su un totale di 4.763) e 30 delegati repubblicani (su 2.472). Salvo variazioni in sede di verifiche, quelli democratici sono andati 23 a Hillary e 21 a Sanders; quelli repubblicani sono andati 9 a Cruz (28% dei voti), 7 a Trump (24%), 7 a Rubio (23%); e poi 3 a Ben Carson (9%) e uno ciascuno a Rand Paul (5%), Jeb Bush (3%), John Kasich (3%) e Carly Fiorina (3%). Christie, Huckabee, Rick Santorum e Jim Gilmore sono rimasti a secco.

Nel New Hampshire, la partita repubblicana è apertissima: Trump è davanti nei sondaggi, Rubio spera di fare meglio di Cruz (e vorrebbe poi vincere in South Carolina). Quella democratica è apparentemente già decisa: Sanders, che gioca quasi in casa, dovrebbe vincere; la Clinton dovrebbe poi rifarsi in Nevada e South Carolina, prima del Super Martedì, il 1° marzo, con 14 Stati in lizza.

Per ulteriori approfondimenti sulle elezioni presidenziali americane, clicca qui per accedere al blog di Giampiero Gramaglia, Gp News Usa 2016

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